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Albert Einstein, genio impegnato

Immagine tratta dal libro "Einstein. La sua vita, il suo universo, di Walter Isaacson, Mondadori, 2017"

Immagine tratta dal libro "Einstein. La sua vita, il suo universo, di Walter Isaacson, Mondadori, 2017"

Si è conquistata la vittoria, ma non la pace

Per ricordare i 145 anni dalla nascita di Albert Einstein (Ulma, 14 marzo 1879), tra le tantissime citazioni a lui attribuite sentiamo che in questo particolare momento storico sia giusto scegliere questa inserita in apertura.

Era il 1945, la fine della Seconda guerra mondiale, e il mondo si incamminava verso un periodo di pace e ricostruzione. Ma Einstein, da profondo conoscitore dei misteri dello spazio, del tempo e dell’ “infinita stupidità umana”, sapeva che la pace era un miraggio ancora lontano. E l'evidenza dei fatti gli ha dato sin da subito ragione. Chissà cosa penserebbe di questo mondo malato, tuttora caparbiamente diviso, ottant’anni dopo la fine della spaventosa guerra seguita a quella che avrebbe utopisticamente dovuto sancire la fine di tutte le guerre.

Ci piacerebbe poter sentire la sua opinione sui fatti cui stiamo assistendo, lui che nella seconda parte della vita, dopo aver dedicato il suo genio indagatore ai misteri della fisica, sentì dentro di sé la necessità di spendersi a sostegno degli oppressi e contro la violenza, la guerra, la bomba atomica. Con buona pace degli intellettuali chiusi nelle loro torri d’avorio e disinteressati alle cose del mondo, Einstein fu proprio l'opposto. Non si risparmiò, usando la sua notorietà e il suo acume al fine di promuovere un processo di pacificazione.

L'umanità ha inventato la bomba atomica, ma nessun topo al mondo costruirebbe mai una trappola per topi

Di recente lo abbiamo visto ritratto proprio così, contrito e preoccupato, nel film Oppenheimer fresco di una valanga di Oscar. Lui che negli anni Trenta, da una Germania già asservita alla follia di Hitler che stava studiando la fissione dell’atomo, scrisse al presidente Roosevelt per indurre il governo americano ad interessarsi al nucleare. Anche da questo suo input nacque il famoso Progetto Manhattan con le conseguenze che conosciamo. Ma Einstein non vi partecipò e, pare, si pentì anche di averlo suggerito. In seguito, si spese contro l’utilizzo della bomba e poi per il disarmo e la pace, sotto il peso di una responsabilità che sentì sempre gravare sulla sua coscienza. Sarà pubblicato poco dopo la sua morte il noto Manifesto Russell-Einstein in cui insieme al filosofo-matematico Bertrand Russell si fece promotore di queste istanze, insieme a diversi altri illustri scienziati e intellettuali.

Noi, testimoni di un assetto mondiale quanto mai instabile e preoccupante, orfani del suo genio caustico, ci aggrappiamo al mito che Einstein rappresenta ancora oggi per cercare di credere che l’umanità abbia ancora una possibilità di sopravvivere a sé stessa.

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Albert Einstein nacque a Ulm in Germaniana. Fu direttore dell’Istituto Kaiser Wilhelm di Berlino fino al 1933, anno in cui fu costretto dai nazisti a lasciare la Germania. Si trasferì negli Stati Uniti, dove insegnò nell’Università di Princeton. Nel 1905 formulò la teoria della relatività speciale, confermò l’esistenza degli atomi e pose le basi per la meccanica quantistica. Nel 1916 formulò la teoria della relatività generale, che divenne la base per costruire il primo modello cosmologico-relativistico, da lui proposto nel 1917. Fu insignito del Premio Nobel per la fisica nel 1922 per i suoi studi sull’effetto fotoelettrico. Nel 1933 fu costretto ad emigrare negli Stati Uniti a causa dell’avvento del nazismo. Morì a Princeton nel 1955.

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