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Decreto Caivano: zero risorse e approccio punitivo

Non è la prima volta che, da quando questo governo è in carica, si decide di intitolare un decreto legge con il nome di una città in cui è avvenuto un grave fatto di cronaca. Il primo è stato Cutro, luogo in cui un’imbarcazione carica di persone è naufragata a pochi metri dalla costa, nonostante la barca fosse stata avvistata e ci sarebbe stato il tempo necessario per intervenire e impedire la strage che poi si è verificata. In quel decreto erano contenuti aumenti di pena per i cosiddetti scafisti, in realtà spesso persone incolpevoli cui viene semplicemente affidato il timone, e altri inasprimenti normativi contro quegli stessi migranti che hanno avuto l’ardire di morire davanti ai nostri occhi.

Con lo stesso meccanismo, qualche giorno fa, è stato approvato un decreto intitolato a Caivano, comune all’interno della città metropolitana di Napoli dove due bambine di 11 e 12 anni sono state stuprate per mesi da un gruppo di ragazzini, anche loro minorenni. Lungi dall’interrogarsi su fenomeni così complessi, provare a comprendere le cause della violenza e metterle in relazione con la deprivazione sociale e culturale di pezzi sempre più consistenti delle nostre città, si decide per l’intervento più rapido, a costo zero, che non implica alcuno sforzo - nemmeno di immaginazione - e che ha l’innegabile pregio di essere estremamente popolare: l’aumento delle pene e l’invenzione di nuovi reati.

In questo decreto, in realtà, c’è qualcosa in più di questo e di ben più grave, cioè la volontà di intaccare il nucleo di protezione garantito ai minori autori di reato in un sistema, quello italiano relativo alla giustizia minorile, che è considerato estremamente avanzato anche dagli altri paesi europei.

Le principali modifiche riguardano la possibilità di utilizzare il Daspo urbano - un provvedimento attraverso il quale si limita l’accesso ad alcune aree della città – contro chi abbia compiuto 14 anni anziché 18, la possibilità di avviso orale del questore per chi abbia compiuto 12 anni anziché 14, la facoltà del questore di vietare l’utilizzo di cellulari e piattaforme internet per un determinato periodo di tempo. Si prevede l’arresto in flagranza anche per i minori e si abbassa il limite che consente la custodia cautelare in carcere, da 9 a 6 anni.

In questo decreto ce n’è per tutti, e così si passa dall’aumento delle sanzioni per reati di lieve entità relativi allo spaccio e si arriva a prevedere il carcere, fino a due anni, per i genitori di figli che lascino il percorso di istruzione prima dell’assolvimento dell’obbligo scolastico. Sembra assurdo non accorgersi delle enormi contraddizioni espresse dalla linea d’azione del Governo. Da un lato, infatti, si dichiara di voler affrontare il sovraffollamento penitenziario, anche utilizzando caserme dismesse, dall’altro pare si stia gareggiando a chi inventa il reato più fantasioso, il tutto condito da quel po’ di carcere in più distribuito qua e là per chi commette azioni di scarsissimo allarme sociale.

Se tutto questo è grave e preoccupante quando intacca le vite di persone adulte, lo è ancora di più quando interferisce con i percorsi di crescita dei minorenni. Il nostro sistema attuale è - era - talmente ben attrezzato da far sì che tra tutte le ragazze e i ragazzi presi in carico dalla giustizia minorile solo una quota residuale finisca negli istituti penitenziari, con numeri che si fermano a circa 300 l’anno. Andare a intaccare un meccanismo così collaudato, che ha provato senza ombra di dubbio come sia proprio l’aver reso marginale il carcere a funzionare nella presa in carico dei minori, significa investire sul peggioramento delle condizioni di quelle vite, scommettere sulla creazione di nuove leve criminali e sull’impossibilità di immaginarsi un futuro diverso, in estrema sintesi lavorare per la perpetuazione di generazioni senza alcuna prospettiva.

A pensarci razionalmente, davvero non si comprende come si possa consentire il proliferare di provvedimenti che produrranno, in maniera quasi matematica, l’esatto opposto di quanto dichiarato. Vuoi fermare l’immigrazione? Metti in carcere per trent’anni chi guida la barca. Vuoi prevenire la criminalità minorile? Sequestra il cellulare ai ragazzi e mettigli in galera i genitori. La pochezza di questo pensiero è disarmante e l’ostinazione con la quale non si voglia mai, nemmeno una volta, decidere di avere un orizzonte di intervento a lungo termine affligge la nostra politica da anni.

In mezzo ci siamo noi, cittadini ormai completamente disabituati a riflettere sulle conseguenze di azioni di governo che sul momento ci fanno sentire appagati, compresi, protetti. Ma che ci lasceranno soli in un futuro non poi così lontano in cui l’illusorio sollievo provato sarà svanito, e non avremo più parole per raccontare le macerie da cui ci troveremo circondati.

Per una bibliografia

Dei bambini non si sa niente

Di Simona Vinci | Einaudi, 2018

La paranza dei bambini

Di Roberto Saviano | Feltrinelli, 2018

Barre. Rap, sogni e segreti in un carcere minorile

Di Francesco «Kento» Carlo | Minimum Fax, 2021

La città dei vivi

Di Nicola Lagioia | Einaudi, 2022

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