La redazione segnala

I film vincitori di Cannes 2023

Illustrazione digitale di Cecilia Viganò, 2023

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Probabilmente è cambiato solo l’ordine, ma da qualche giorno, nel Toto-Palma, Anatomie d’une chute e The Zone of Interest sono stati i film favoriti. Poteva cambiare solo l’ordine. Palma d’oro al film diretto da Jonathan Glazer e Gran Prix speciale della giuria a quello di Justine Triet, ma in ogni caso nelle previsioni sono diventati i titoli che si sarebbero aggiudicati i premi maggiori. Ed entrambi sono apparsi in linea con il tipo di cinema che poteva piacere al presidente della giuria Ruben Östlund.

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Sia Anatomie d’une chute sia The Zone of Interest hanno comunque confermato la bravura di Sandra Hüller, protagonista di tutte e due i film. Il quarto lungometraggio della regista francese ha una parte processuale potente ma soffre di alcuni eccessi di scrittura, mentre The Zone of Interest mostra la banalità del male attraverso le forme di quello che potrebbe avere le forme di un fantasy che mostra comunque una prospettiva diversa, ma alla lunga ripetitiva, rispetto al cinema più classico sulla Shoah e il nazismo.

Sono meritati? Per una parte della critica sì, per altri sono rimasti fuori alcuni dei film più belli di questa edizione, a cominciare da Les feuilles mortes di Aki Kaurismäki, che si è dovuto accontentare del Premio della giuria quando invece il film del cineasta finlandese (che non è stato presente alla cerimonia di chiusura) ci è apparso assieme a Perfect Days di Wim Wenders il film migliore.

Oltre a essere alcuni dei film più ispirati dei due cineasti, hanno racchiuso entrambi l’idea del cinema di Aki Kaurismäki e Wim Wenders e dialogano, in forme diverse, con il cinema del passato. In Les feuilles mortes le locandine dei film presenti sono già delle citazioni dichiarate anche se alcune situazioni fortuite che impediscono ai due protagonisti di ritrovarsi richiamano soprattutto Un amore splendido di Leo McCarey quando salta l’appuntamento tra Cary Grant e Deborah Kerr all’Empire State Building.

Perfect Days invece torna sulle tracce di Tokyo-Ga, il documentario girato dal regista tedesco nel 1985 e del cinema di Yasujirō Ozu con il protagonista che si chiama proprio come quello di Il gusto del sakè, l’ultimo film diretto dal cineasta giapponese nel 1962. È stata così abbastanza scontata – e meritatissima – la Palma a Kōji Yakusho come miglior attore, mentre meno prevedibile è stato il Premio per la miglior interpretazione femminile a Merve Dizdar, protagonista di Les herbes sèches di Nuri Bilge Ceylan, un altro dei colpi di fulmine di quello che è comunque stato un concorso di alto livello e che avrebbe forse potuto avere migliore fortuna.

Infine i riconoscimenti alla complessa struttura narrativa attraverso i diversi punti di vista dei personaggi nella sceneggiatura di Yūji Sakamoto in Monster di Hirokazu Kore-eda e la grazia formale del cinema di Tran Anh Hung di La passion de Dodin Bouffant in uno dei sui film più attraenti che nel corso dei giorni cresce alla distanza, sono apparsi sostanzialmente meritati.

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L’Italia resta a mani vuote. Eppure Marco Bellocchio (Rapito), Alice Rohrwacher (La chimera) e Nanni Moretti (Il sol dell’avvenire) hanno portato in concorso dei film che, in forme diverse, non solo sono particolarmente riusciti ma soprattutto rappresentano in maniera diretta l’idea di cinema dei cineasti. Ma si era capito già dai primi giorni che per loro non sarebbe stata l’annata giusta sia perché non ci sono sembrati in linea con i gusti della giuria (poi magari su questo fatto verremo prontamente smentiti) sia perché con la qualità di questo concorso la sfida è diventata ancora più difficile.

Tra gli esclusi, una menzione a parte per The Old Oak d Ken Loach. Probabilmente non aveva nessuna possibilità, anche perché il regista inglese ha vinto già due Palme d’oro: nel 2006 per Il vento che accarezza l’erba e nel 2016 per Io, Daniel Blake. Ma il finale del film è tra quelli che ci ricorderemo a lungo.

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