La sensazione che lo scrivere, come gli scacchi, fosse un gioco di cui si potesse apprendere la teoria, non sufficiente a vincere la partita, ma almeno a cominciarla
Era solito dire che per scrivere il talento non era così indispensabile. Quello che davvero serve è un allenamento continuo, fatto di esercizio – lo scrivere vero e proprio, la pratica – e di teoria – la lettura, il confronto con i grandi. Scriveva e insegnava, Giuseppe Pontiggia, come giocava a scacchi: studiando, capendo, esercitandosi e sperimentando.
Protagonista di questo romanzo breve è un giovane poco più che adolescente, costretto dalla situazione economica a entrare nel mondo spersonalizzato e frustrante dell'impiego in banca. Inizialmente egli spera di poter conciliare il lavoro con le sue aspirazioni segrete ma, quando il progetto si rivela irrealizzabile, sprofonda nel grigiore della sua condizione.
La scrittura è necessaria quando aggiunge qualcosa al nostro modo di narrare, quando si trovano nuove strategie per portare avanti il discorso – verrebbe da dire, quando si trovano nuove regole per giocare. E a Pontiggia la scrittura piace subito, ci si mette in relazione appena può, e impara presto da Maupassant la lezione che per scrivere ci vuole qualcosa da dire. E quel qualcosa, a lui, arriva drammaticamente presto.
Pontiggia nasce a Como ma vive a Erba. È il 1934 e la sua famiglia è agiata e ben voluta: suo padre lavora in banca, sua madre è casalinga, i suoi fratelli leggono tutti, sono appassionati dei libri della grande biblioteca di casa. Poi succede che il padre viene ucciso perché funzionario fascista – o forse no, le ragioni non erano chiare, così come gli assalitori –, e questo trauma per primo lo spingerà a scrivere.
C’è dell’autobiografia, infatti, nel primo romanzo, La morte in banca, dove si racconta di un giovane costretto da ristrettezze economiche (le stesse della famiglia Pontiggia dopo la morte del padre) a cercare un lavoro come impiegato nonostante le sue velleità letterarie (lo stesso destino toccato a Pontiggia stesso, costretto a lavorare in banca per sopperire ai bisogni della famiglia). Segnato dalla tragedia, il giovane Giuseppe riesce a trovare le energie e la passione per scrivere, anche quando la sorella Elena non regge alla morte del padre e si suicida.
Anche quando il figlio Andrea nasce con una disabilità. Il dolore, per Pontiggia, il senso di colpa, l’inadeguatezza, quella sensazione di disgrazia sempre incombente, per lui, si sublimano nell’arte, nella sua arte, la scrittura. Mettere su pagina una vita che, come tante altre, ha avuto migliaia di sfaccettature, anche infelici, ha permesso a Pontiggia di regalarci romanzi profondissimi e complessi, critiche delicate quanto ragionate e insegnamenti che ancora oggi ci meravigliano.
Amaro e drammatico, grottesco e comico, ironico e appassionato, sempre lucidissimo, Nati due volte racconta il rapporto di un padre con il figlio disabile. Guidandolo attraverso gli scogli della vita, il padre apprende dal giovane l'arte di vivere non per essere «normali», ma per essere solo se stessi.
Per scrivere bene imparate a nuotare è il titolo della sua raccolta di lezioni più completa. A sottolineare tutta quella fatica, quell’allenamento, quella tecnica che sono necessari a tirare fuori da sé le cose più intime, nascoste, dolorose, anche, per farci i conti. Per giocarci una delle partite più importanti della nostra vita e, forse, se le cose vanno come devono andare, imparare a guardare avanti.
Voi dovete vivere giorno per giorno, non dovete pensare ossessivamente al futuro. Sarà un’esperienza durissima, eppure non la deprecherete. Ne uscirete migliorati
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