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L'uccisione di Ludovico Ligato, il cadavere eccellente più tranquillo

wikicommons.wikimedia.org - © Camera dei deputati

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La trilogia della Patria del giornalista e scrittore Enrico Deaglio è una raccolta in presa diretta dei fatti più importanti che hanno segnato la storia del nostro paese dal 1967 al 2020. I volumi:

Patria 1967-1977, Feltrinelli 2018
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Patria 1978-2010, Il Saggiatore 2010
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Patria 2010-2020, Feltrinelli 2020 
Estratto da

Patria 1978-2010 di Enrico Deaglio

pp. 282-283

Reggio Calabria, 27 agosto 1989

A 50 anni, Ludovico Ligato può essere fiero di sé: è un uomo politico molto potente e si è fatto da solo. È diventato molto ricco, anche. Si gode l'estate nella sua villa a Bocale.

È mezzanotte, gli ultimi amici se ne sono andati da poco, quando suonano di nuovo alla porta, qualcuno avrà dimenticato qualcosa. Va ad aprire e Giuseppe Lombardo, detto «Cavallino»,26 anni, lo ammazza con ventisei colpi di pistola.
Non se lo sarebbe mai immaginato Ligato, in Calabria nessun politico è mai stato ucciso, non siamo mica in Sicilia. E non si sarebbe aspettato che nel giro di una settimana nessuno avrebbe più parlato di lui. Pochissimi ai funerali, nessuno da Roma.

Ludovico Ligato, bel ragazzo figlio di un ferroviere (Reggio è una città di ferrovieri), ha scalato la giungla delle preferenze democristiane nella regione, ha una corrente i cui aderenti vengono chiamati «i cinesi» perché vengono dal quartiere cinese di Portanova, chiacchieroni e impetuosi, è arrivato a Roma, ha fatto il sottosegretario, è addirittura diventato il presidente delle Ferrovie dello Stato, un ente che, come ama ricordare, amministra più soldi della Fiat (e lì è stato fermato dallo scandalo delle «lenzuola d'oro»).

Attualmente parcheggiato, sta organizzando un gran ritorno a Reggio, città baciata dalla fortuna da quando il governo ha deciso di varare il «decreto», decine di migliaia di miliardi.
E Ligato è già stato capace di far finanziare un faraonico rifacimento del lungomare della città.

Ma, dall'esame del suo cadavere - un ricco signore arrogante, aggressivo, che parla a voce alta, che dà ordini tra il profumo del suo successo e quello delle zagare - spunta anche un'altra particolarità: Ligato non è un uomo libero, non lo è mai stato.
È stato coltivato fin da giovane dai veri padroni della città, i mafiosi De Stefano, che hanno accompagnato la sua carriera e gli hanno dato la giusta percentuale per quello che ha sempre garantito loro.

Ma ora De Stefano è stato ucciso e il suo clan sta perdendo colpi di fronte agli avversari Condello dai quali Ligato non è ancora andato umilmente a inginocchiarsi. Non è tanto che i Condello pensino che possa mettersi in proprio (questo a Reggio Calabria è inconcepibile), piuttosto pensano che stia ancora con i De Stefano.

Suscita qualche clamore la sua uccisione?
Ma no, sia a Reggio sia a Roma i politici hanno capito benissimo di che cosa si sta parlando. E infatti il suo cadavere scivola via tranquillo.

A Montecitorio lo commemorano, ma per finta. Tutti fingono di non conoscerlo e di non averlo mai conosciuto. A guastare la festa, il deputato Oscar Luigi Scalfaro: 

Scusate, colleghi democristiani: ma Ligato non era dei nostri?

Oscar Luigi Scalfaro

Non gli rispondono neppure. E così la vittima scompare e la lancetta che segna i rapporti di potere tra politica e mafia a Reggio Calabria si sposta nettamente a favore della seconda. Lo chiamano «il partito che non c'è». Il delitto ha pagato e vale più di un congresso.

Per quanto riguarda «Cavallino», confesserà. Dirà che gli piaceva ammazzare.
Gli faranno sapere che deve cambiare la sua deposizione: deve dire che ha avuto in premio una macchina per sé e un gioiello per sua moglie (che prontamente riceverà). Se è d'accordo faccia un fischio. Non lo fa. E se ne va in galera invece il boss Santo Araniti, che credo sia ancora là.

Per approfondire

Trilogia della Patria

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