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Misurare una bugia: la scienza del mentire    

Illustrazione digitale di Cecilia Viganò, 2023

Illustrazione digitale di Cecilia Viganò, 2023

Will Ritson, proprietario del pub Huntsman's Inn di Santon Bridge, nell’Inghilterra settentrionale, era famoso in tutto il villaggio per la sua straordinaria capacità di raccontare frottole. Questo eccellente “storyteller” del XIX secolo oggi è ricordato con una gara annuale in suo onore: i partecipanti al World's Biggest Liar hanno cinque minuti per intrattenere il pubblico con una bugia clamorosa. Vince chi racconta la più incredibile nel modo più convincente, come, si racconta, quel vescovo che surclassò gli altri concorrenti con queste sole parole: «In tutta la mia vita non ho mai detto una bugia».

La capacità di stabilire se chi parla sta dicendo la verità o no è un superpotere vagheggiato da millenni e immaginato in tutte le salse, dalla mitologia greca a Harry Potter. Mettendo da parte sistemi magici, esoterici o che prevedevano le più varie e fantasiose torture, i primi tentativi scientifici di costruire una presunta “macchina della verità” risalgono all’inizio del secolo scorso, con l’invenzione del poligrafo, e si sono praticamente fermati là. Il poligrafo non è altro che uno strumento che rileva e tiene traccia di una serie di parametri fisiologici, come il respiro, la pressione, il battito cardiaco e la sudorazione, che si presumono alterati se la persona sta mentendo. Le grandezze che il poligrafo monitora, però, possono variare non solo se si mente, ma anche per mille altri motivi: lo stress, la paura, le emozioni in generale. Viceversa, un individuo sociopatico potrebbe dichiarare il falso senza la minima ansia, perciò le sue pulsazioni non lo tradirebbero. Purtroppo, anzi per fortuna, ad oggi non ci sono prove sufficienti per concludere che il poligrafo sia un buon sistema per distinguere gli onesti dai bugiardi. Tra i più convinti sostenitori di questa macchina della verità fasulla spiccava un tempo – non indovinerete mai – il creatore di Wonder Woman: fumettista e anche psicologo, William Moulton Marston si definì padre del poligrafo, anche se prima di lui ci avevano lavorato in molti. Nel 1938 apparve perfino in una campagna pubblicitaria in cui sosteneva che i rasoi Gillette erano i più confortevoli - lo dimostrava il poligrafo!

Siamo abituati ad associare al mentire significati negativi, ma la capacità di dire bugie è una facoltà preziosa e complessa che condividiamo con alcuni primati e pochi altri mammiferi. Per mentire bisogna saper fare un sacco di cose: aver presente una verità; inventare una storia alternativa di cui convincere l’interlocutore; saper tenere in piedi questa storia senza fare trasparire la verità nota; decidere in tempo reale quanto portare avanti la menzogna e a quale costo. Impariamo a mentire di proposito verso i quattro o cinque anni, ci perfezioniamo crescendo e diventiamo più scarsi dopo i quarantacinque anni. Gli studi condotti sui comportamenti indicano che mentiamo tutti, più a voce che negli scambi scritti, e anche spesso: ogni cinque delle nostre interazioni sociali più lunghe di dieci minuti, una, in media, contiene bugie. Ma la frequenza varia moltissimo da persona a persona, dato che la metà delle bugie proverrebbe da appena un 5% di persone. Del resto, una volta che si inizia a dire bugie, è facile abituarsi, perché il cervello è interessato da una sorta di assuefazione rispetto alla sensazione sgradevole di aver mentito.

Si potrebbe pensare che oggi, con le infinite possibilità offerte dalle tecniche di neuroimaging, una bella risonanza sia più che sufficiente per stanare una bugia. Nel 2001 un primo esperimento guidato dallo psichiatra americano Daniel Langleben mostrò che i partecipanti allo studio che mentivano, oltre a essere tendenzialmente più lenti a rispondere, presentavano attraverso la risonanza magnetica funzionale una maggiore attivazione di alcune aree del cervello. Il problema è che tale attivazione avveniva nei mentitori sia che mentissero, sia che dicessero la verità: l’ipotesi è che quella zona fosse impegnata (anche) nel decidere se mentire o no. Certo non uno strumento affidabile per isolare una sola bugia in una sola persona. Da allora, in molte occasioni la risonanza magnetica è servita a confermare che dire una bugia coinvolge intensamente la corteccia prefrontale, ma i risultati sono di natura statistica e – per la soddisfazione di Will Ritson – non siamo ancora in grado di individuare la firma di una frottola

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