Pablo Neruda (uno pseudonimo, come si sa, un nome d’arte) è una specie di straordinaria, illimitata cornucopia di ispirazione e talento. Ciò che ogni lettore apprende dalla lettura dei suoi testi, pur nelle loro diseguaglianze e nelle loro cadute, è il dono della poesia, che sembra essere stato riversato a piene mani su di lui. È uno dei poeti più sovrabbondanti, ricchi, estroversi, vari, distesi in orizzontale sulla superficie del mondo, che la tradizione novecentesca conosca. Uno dei punti qualificanti della sua esperienza è costituito senza dubbio, nella sua piena fioritura, dalla serie delle Odi elementari, iniziata con il libro così intitolato del 1954.
Se anche lì, in alcuni casi, si inserisce il tema politico-ideologico, le odi che celebrano le cose del mondo nella loro essenzialità e purezza sono uno dei vertici della produzione poetica del Novecento, tra l’altro in controtendenza rispetto a un filone più mentale, intellettuale (penso alla tradizione anglosassone, a Eliot, per citare un caposaldo del canone modernista). Neruda sembra a volte incarnare l’idea di un poeta totalmente terreno, materico, capillare nella sua adesione alla vita, in ogni forma, con una dedizione e concretezza senza residui, senza scorie.
Le odi nell'opera del grande poeta cileno sembrano provenire da una miniera inesauribile. Dopo Ode al vino, Ode al libro, Ode al mare, Ode alla vita, Ode alla notte e Ode alla rosa, ecco così il settimo volume, dedicato questa volta alla figura della donna.
Non significa che egli sia un poeta privo di echi, di profondità, di complessità. Piuttosto la sua poesia appare come una sorta di forza primordiale, che si impone al lettore con l’evidenza della cosa sentita, sperimentata, vissuta. Il pane, la rosa, il carciofo, l’aroma della donna amata sono oggetto di un canto che scompone e ricompone la vita nei suoi elementi primi, come tornando a una creazione pulsante, in divenire, come nel giardino di un Eden che pure non ignora la traversia, il dolore, l’ingiustizia. Neruda è stato infatti, come si accennava, anche un poeta impegnato: ha cantato la speranza di un comunismo utopico e ha protestato con virulenza contro le forze che costrinsero il suo Cile verso un regime illiberale e repressivo, quello di Pinochet.
Ha scritto un libro intitolato Incitamento al nixonicidio e elogio della rivoluzione cilena (1973), che ha preceduto di alcuni mesi il golpe che rovesciò il governo di Salvador Allende e portò alla sua eliminazione. Fu pochi giorni dopo il golpe di Pinochet che Neruda morì, all’ospedale di Santiago del Cile: era il 23 settembre del 1973, cinquant’anni fa, in circostanze che sono sempre state discusse e che di recente sono tornate ad alimentare sospetti. Secondo la versione ufficiale, il poeta morì per cause naturali, di tumore. Secondo altre fonti, sarebbe stato ucciso da un’iniezione che lo avrebbe avvelenato. Insomma la sua morte a 69 anni (era nato il 12 luglio 1904), quando era pronto ad espatriare in Messico, sarebbe stata un omicidio politico, voluto e ordinato dal golpista Pinochet.
Pablo Neruda è stato un combattente in prima fila nella dura lotta del popolo cileno contro l'imperialismo straniero e contro l'oligarchia interna. In questo suo poema non troviamo l'artista o l'intellettuale raffinato, ma il cittadino che con la sua voce grida in mezzo alla bufera civile.
In un libro del 1962, Pieni poteri, da non molto tradotto in Italia (a cura di Arianna Fiore, presso Passigli, Firenze 2022), Neruda parla in apertura del Dovere del poeta. La poesia si conclude con questi versi: «Così, con me, la libertà e il mare / potranno rispondere al cuore oscuro». Il canto di Neruda, ora aperto e polposo come un frutto, ora malinconico oppure puntuto e impegnato nella battaglia, è una offerta di luce e di forza vitale, a cui è ancora possibile abbeverarsi, come lui diceva di fare alla coppa della parola poetica (in La parola, ugualmente da Pieni poteri): «Io bevo alla parola sollevando / una parola o coppa cristallina, / in lei bevo / il vino dell’idioma / o l’acqua interminabile, / delle parole sorgente materna, / e coppa e acqua e vino / originano il canto / perché il verbo è l’origine / e versa vita […]».
Uscita nel 1962, e cioè a soli tre anni dai Cento sonetti d’amore e due anni prima del monumentale Memoriale di Isla Negra, Pieni poteri è una raccolta molto composita, che da certi punti di vista costituisce una sorta di spartiacque tra il Neruda precedente e il Neruda a venire.
Di
| Einaudi, 2016Di
| Guanda, 2008Di
| Rizzoli, 1988Di
| Passigli, 2010Di
| Passigli, 2004Di
| Passigli, 2001Di
| Passigli, 2000Di
| Motta Junior, 2012Scopri altri poeti
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