Dite la verità, non lo sentite anche voi?
Questo lieve ma insistente retrogusto, questa ineffabile scia da notte prima degli esami?
Sì, al momento potreste negare, probabilmente la maturità l’avete rubricata da prima che esistesse Microsoft, concorsi pubblici abbordabili non se ne avvistano nel raggio di anni luce e l’ultimo emocromo fortunatamente risale a inizio autunno.
Ma, vi assicuro, per una certa fetta di italiani questa è una vigilia di tutto rispetto.
Tra poche ore, infatti, nella ormai conclamata cornice del Museo Etrusco di Villa Giulia, verrà conferito l’ambitissimo e succulento Premio Strega. L’Oscar del romanzo italiano. Che come fama forse non trasvolerà l’oceano, ma che qui riesce molto bene a smuovere le acque.
Questa edizione, la numero 76, si profila già con un dato inedito, considerando che per la prima volta al posto dell’istituzionale cinquina, la finalissima si gioca su sette contendenti, in virtù del regolamento stilato dalla Fondazione Bellonci, per cui chi si posiziona a pari merito viene automaticamente candidato.
Ma non accade solo questo. Sulla scorta di un previsto meccanismo di compensazione, nel momento in cui tutti i finalisti selezionati concorrono per grandi gruppi editoriali, è necessario recuperare anche un rappresentante della piccola-media editoria. Diffondendo un clima da pieno ripescaggio di Miss Italia.
Risultato? Una poltrona per sette. Praticamente un divano letto. Sperando ovviamente che risulti ergonomico e in materiali ecocompatibili.
Ecco quindi la lista dei titoli in odore di medaglia: al primo posto temporaneamente si classifica Mario Desiati con Spatriati, edito da Einaudi. Un romanzo sulla generazione dei quarantenni perennemente in bilico.
Gli eterni “disappartenenti”, con enormi premesse e fragili finali. Nulla di personale.
È un puro caso che chi ve lo stia raccontando si accinga tra un mese a salutare il suo quarto decennio.
Trattasi dunque dell’ufficiale favorito, ipotesi che in casa Mondadori è fortemente agognata, soprattutto ricordando che l’ultimo vincitore della scuderia ci rimanda direttamente a cinque anni fa con Paolo Cognetti.
Attesa più che sufficiente? In casa editrice credo saprebbero cosa rispondermi.
Claudia entra nella vita di Francesco in una mattina di sole, nell'atrio della scuola: è una folgorazione, la nascita di un desiderio tutto nuovo, che è soprattutto desiderio di vita. Cresceranno insieme, bisticciando come l'acqua e il fuoco, divergenti e inquieti. Un romanzo sull'appartenenza e l'accettazione di sé, sulle amicizie tenaci, su una generazione che ha guardato lontano per trovarsi.
Secondo posto per Claudio Piersanti, con il romanzo di Rizzoli Quel maledetto Vronskij, incentrato sull’improvvisa solitudine di un uomo abbandonato dalla donna che credeva inamovibile.
Scialuppa di salvataggio? No, non è un abbonamento su Tinder. E neanche una cisterna di Cerasuolo. Semplicemente la lettura di Anna Karenina.
Come dite? Meglio comprarsi un Jack Russell? Allora la storia non fa per voi.
La storia di un uomo che non crede alla fine di un amore. Un romanzo di ossessioni, tenacia e tenerezza. "Perdonami, sono tanto stanca. Non mi cercare." Solo questo lascia scritto Giulia, prima di scomparire nel nulla. E suo marito Giovanni, nella casa improvvisamente vuota, si sente un naufrago.
Terzo gradino per il pisano Marco Amerighi e il suo Randagi (edito da Bollati Boringhieri), che combina sapientemente il comico e il tragico per offrirci il ritratto di Pietro e della sua tribolata formazione.
Spatriati, Randagi. Eh sì, non c’è male come polaroid dei tempi attuali.
Con una trama ricca di personaggi sgangherati e commoventi, e una voce in grado di rinnovare linguaggi e stili senza rinunciare al calore della tradizione, Randagi è un abbagliante romanzo sulla giovinezza e su quei fragilissimi legami nati per caso che nascondono il potere di cambiare le nostre vite.
Si prosegue con Veronica Raimo, che sempre per Einaudi pubblica Niente di vero.
Radiografia efferata (e sincera?) di una famiglia un tantino disfunzionale. La sua.
In cui lei, spigolosa protagonista, è una continua spassosa variazione sul No. E non intendo il teatro giapponese.
Ma la totale congenita incapacità di svolgere le attività più elementari. Tra cui mangiare, nuotare, evacuare, rendersi conto di avere un rapporto intimo. Fortunatamente scrivere le è risultato decisamente più facile.
In questo romanzo esilarante e feroce, Veronica Raimo apre una strada nuova. Racconta del sesso, dei legami, delle perdite, del diventare grandi, e nella sua voce buffa, caustica, disincantata esplode il ritratto finalmente sincero e libero di una giovane donna di oggi. "Niente di vero" è la scommessa riuscita, rarissima, di curare le ferite ridendo.
Fabio Bacà con Nova (uscito per i tipi di Adelphi) e Alessandra Carati con E poi saremo salvi (edito da Mondadori) si collocano in sesta fila, entrambi con 168 voti.
Il primo ci propone una brillante riflessione sul nostro rapporto con la violenza, costantemente respinta, a volte rimossa, eppure sempre annidata in un ritaglio di cuore poi non così remoto.
Un romanzo del terrore più inquietante – quello nascosto in una vita qualsiasi. «A cosa pensa un uomo appena si sveglia? Cosa gli recapita la connivenza d'inconscio e realtà? Qual è l'oggetto delle sue prime, confuse meditazioni mentre tenta di recuperare la potestà sul vero? Quali le immagini, i suoni, i bisbigli, i tumulti nella sua testa?»
L’altra è una vicenda familiare snodata tra la Bosnia e l’Italia, legata a un tratto di storia recente che con la sua schiettezza può ancora risvegliarci il sangue. E aggiungere qualcosa alla nostra consapevolezza.
E poi saremo salvi è insieme uno straordinario romanzo di formazione, una saga familiare, l'epopea di un popolo; ma è soprattutto il racconto di come una piccola, densa vicenda privata può allargarsi fino a riflettere la tensione umana alla "casa", il posto del cuore in cui ci riconosciamo.
Chiude la schiera Veronica Galletta con Nina sull’argine (minimum fax), in cui si narra di Caterina, sprofondata dalla Sicilia nell’operoso Nord per il suo primo incarico importante e costretta a scontrarsi con tutte le contraddizioni acide di un luogo efficiente ma scarno di vera accoglienza.
Con una lingua modellata sull'esperienza, Veronica Galletta ha scritto un apologo sulla vulnerabilità che si inserisce in un'ampia tradizione di letteratura sul lavoro, declinandola in maniera personale.
Ed eccoci lì, come Nina, tutti sull’argine, ad aspettare che responso scorra sul fiume.
Interrogandoci con ansia anche su altre questioni fatalmente cruciali, tra cui ad esempio, quanto sarà lungo il vestito di Geppi Cucciari?
I capelli le staranno meglio della scorsa edizione?
Ma soprattutto, quale sarà il titolo che chiunque tenderà a chiederci in libreria per i prossimi tre mesi confondendolo puntualmente con il Nobel?
Conoscevo un cliente che i vincitori Strega li collezionava tutti. Preferibilmente avvolti da pellicola. E credo fortemente che siano ancora così. Intonsi.
Perché a volte lo Strega si ama a prescindere.
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