«Mille e mille italiani spatriati emigrando a cercar lavoro», scriveva Riccardo Bacchelli nel suo capolavoro del 1938 Il mulino del Po, restituendo così il significato esatto del termine spatriati, in altre parole quelli che vanno via, che lasciano la propria terra nella ricerca disperata di un lavoro e di un posto nella società, ma non solo. Secondo il dizionario martinese-italiano di Gaetano Marangi, infatti, sono raminghi, senza meta, ma soprattutto balordi, irrisolti, dispersi, come i protagonisti dell’ultimo romanzo di Mario Desiati, Claudia Fanelli e Francesco Veleno, quest’ultimo voce narrante del romanzo.
I due si conoscono quando sono solo dei ragazzini e nella cittadina pugliese di Martina Franca frequentano lo stesso liceo. Lui si innamora perdutamente, e immediatamente, di lei. Lasciano quella scuola con lo stesso voto, un «ottantacinque, che la smorfia napoletana indica come “l’anima del purgatorio”», ma con una visione decisamente diversa del futuro: Claudia vuole lasciare quella terra che la soffoca e sembra toglierle ogni ambizione; Francesco resta, almeno in un primo momento, in quel luogo che «placava la sua ansia».
Claudia entra nella vita di Francesco in una mattina di sole, nell'atrio della scuola: è una folgorazione, la nascita di un desiderio tutto nuovo, che è soprattutto desiderio di vita. Cresceranno insieme, bisticciando come l'acqua e il fuoco, divergenti e inquieti. Lei spavalda, capelli rossi e cravatta, sempre in fuga, lui schivo ma bruciato dalla curiosità erotica. Sono due spatriati, irregolari, o semplicemente giovani. Un romanzo sull'appartenenza e l'accettazione di sé, sulle amicizie tenaci, su una generazione che ha guardato lontano per trovarsi.
Sarebbe sbagliato però leggere Spatriati solo come un altro romanzo di formazione che racconta della fuga da un Sud – di cui la Puglia qui è emblema e personificazione – che non lascia scampo a una generazione senza meta né speranze. Il ritratto che Desiati traccia del nostro Meridione non è solo la descrizione di un luogo geografico, ma di un complesso insieme di pregiudizi e convenzioni sociali che ancora oggi purtroppo ristagna e si propaga. In primo luogo, il matrimonio. I genitori di Francesco, Elisa Fortuna e Vincenzo Veleno – i cui nomi suonano come lo scherzo di un destino beffardo – e il loro sedersi ai lati opposti del divano mentre guardano un programma qualsiasi alla televisione, sono il simbolo di quell’ipocrisia da cui i protagonisti cercano di prendere le distanze. Essere spatriati è questo: non sottostare ai ruoli che la società tenta di imporre, anche nei rapporti umani.
Tassello fondamentale per afferrare fino in fondo i significati di questo romanzo è capire l’importanza che viene data ai luoghi: le città sono personaggi veri e propri, tanto quanto gli uomini e le donne della storia. Sin da subito l’autore dà al lettore tutti gli strumenti necessari per poter percepire i profumi di quella terra così arida di possibilità quanto ricca di sapori che è la Puglia, ammirare il cielo rosso di Taranto al tramonto come fosse lì davanti ai suoi occhi, così come quello argenteo di Berlino sotto il quale si aggirano personaggi in bilico «tra emarginazione e vanagloria» e dove i protagonisti esplorano fino in fondo la loro sessualità (un tema questo che Desiati ha affrontato alla perfezione nel suo precedente romanzo Candore, uscito sempre per Einaudi nel 2016). Francesco e Claudia sono spatriati sì, eppure appartengono a ognuno di questi luoghi in maniera diversa.
Sebbene Spatriati sia basato sul racconto della continua ricerca di sé stessi e di un luogo che sia casa, c’è qualcosa che resta un costante punto di riferimento: i libri.
Letteratura e luoghi si fondono come nella meravigliosa immagine dell’ex aeroporto di Berlino-Tempelhof descritta nelle ultime pagine e davanti alla quale Francesco non può far altro che affermare che non avrebbe mai smesso di «amare chi ha una fiducia infinita nell’uomo al punto da sedersi in mezzo a un aeroporto abbandonato a leggere versi di una poetessa pugliese».
Questo potere salvifico della letteratura emerge con forza grazie anche ai numerosi riferimenti a romanzi e poesie. I libri sono appiglio fondamentale, soprattutto per Claudia, e lo dimostrano quelle magnifiche righe in cui confida all’amico che «l’aveva salvata proprio Caro Michele quando Natalia Ginzburg scrive che l’importante nella vita è camminare e allontanarsi dalle cose che fanno piangere».
Spatriati è tutto questo, ma non solo. L’autore riesce ad affascinare con la sua scrittura evocativa, mai melensa o banale, racchiudendo le vicende in una cornice culturale e temporale resa credibile dai continui riferimenti alla cultura pop contemporanea, agli avvenimenti politici degli ultimi decenni, fornendo così una sorta di bussola per far sì che il lettore non si perda tra le pagine e possa rivedersi nel singolare percorso dei protagonisti. Perché come recita la quarta di copertina «a volte si leggono romanzi solo per sapere che qualcuno ci è già passato».
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I libri di Mario Desiati
Di
| Einaudi, 2021Di
| Mondadori, 2016Di
| Rizzoli, 2015Di
| Mondadori, 2015Di
| Mondadori, 2012Di
| Mondadori, 2010Di
| Mondadori, 2022Di
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