Tracce di Tito

Da soli in tanti

Quanto è difficile, a volte, parlare di musica al bancone del bar. Vuoi condividere, ma anche no. Anche tenerti le cose per te, soltanto per te.

Il vero appassionato ha sempre quel tratto vagamente snob, per cui quella certa band, che ha scoperto lui vagando fra recensioni nascoste nei meandri della rete o su una compilation di Mojo - a proposito, nell'ultimo numero ce n'è una di cover dei Beatles con un fritto misto di The Black Keys, Melvins e Swamp Dogg e, pensate un po', The 13th Floor Elevators, tra gli altri - quella certa band, dicevo, di post punk svedese, con dentro pure un sassofono, la deve conoscere soltanto lui. Cioè io, per esempio, riguardo ai Viagra Boys facevo tanto il bullo.

Facile parlare di Idles - però parliamone: l'ultimo disco s'intitola Crawler ed è dalle parti del capolavoro: duro, potente, grintoso e morboso come piace a noi, che cominciamo a essere tanti - oppure dei soliti (ottimi, sì, pure loro) Fontaines D.C., ma quando tiravo fuori i Viagra Boys, con quel nome lì poi, potevo esclamare, con finto stupore e gongolamento nascosto: "Ma come, non li conoscete?!"

Ma un giorno, di colpo, ecco che li conoscono tutti, al bar e pure altrove. Hanno perfino suonato un loro pezzo a X Factor. Dovrei essere felice che una band di new post punk (etichetta abbastanza adeguata) non venda un unico vinile, quello mio. Invece, un po' rosico. Ed è un classico. Ci sono abituato fin da quando ero ragazzetto.

In questo caso, arriva anche una nota di autentica tristezza nello scoprire che il chitarrista, Benjamin Vallé, è appena partito per quel viaggio da cui non si torna, verso un posto pieno di rocker destinati a restare per sempre giovani. Alzo un bicchiere alla sua salute.

E spero che i Viagra Boys vadano avanti e abbiano tutto il successo che meritano. Che tanti ragazzi vadano ai loro concerti, ascoltino i loro dischi su un qualunque supporto, per poi ritrovarsi a parlarne seduti su un muretto, tutti insieme.

Ma sì, è bello condividere. Sentirsi una tribù. Come accadde a me (passato remoto: mode on), verso i vent'anni, quando mi trasferii da un paese a una città, per scoprire di non essere solo. O meglio, più precisamente, che la mia stessa solitudine l'avevano provata molti altri ragazzi, come me. Una diversità che ci rese uguali.

Eh, no, non bisogna essere gelosi delle proprie scoperte. Mettere su un vinile di un gruppo appena scoperto o riscoperto, quando ho amici in casa, è come andare a prendere una bottiglia buona, stappare e versare. Che gusto ci sarebbe, a berla da solo?

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