Tracce di Tito

L'autunno dei migliori

Nell'universo parallelo che (soprattutto verso le sei di sera) frequento, Hey What dei Low è già al decimo disco di platino ed è l'album dell'anno. Non si parla d'altro, ovunque.

Secondo le leggi che regolano il suddetto universo, l'elezione è ammessa a partire da ottobre. Kanye West potrebbe prenderla male, considerando il caratteraccio, ma non è colpa nostra se valgono unicamente i dischi usciti in forma fisica, cioè in vinile, mentre Donda per il momento è solo musica liquida. A proposito, il mio pusher Ferruccio, quello di Dischivolanti, mi ha fatto notare sono quasi due ore di musica. Sarà almeno un triplo LP, da accenderci un mutuo, magari poi in una confezione che potremmo definire "spartana", per non fare incazzare troppo quello sbarellato di Kayne, invece di "miserabile". Termine che mi era scappato quando ho avuto fra le mani il precedente Jesus is King, costituito soltanto da un vinile blu con un foglietto, dentro una busta trasparente. Oltretutto, io e gli altri abitanti di quell'universo, riuniti al bancone, avevamo lo avevamo trovato abbastanza palloso, nel suo fervore mistico. Cadendo da cavallo sulla via di Damasco, Kanye West aveva battuto la testa.

Donda però promette bene. Vabbè, più che una promessa è una certezza. Confesso di averlo ascoltato in streaming. E sul divano, concentrato, non mentre andavo a correre. Era troppo curioso e non volevo ordinarlo a scatola chiusa, dopo la delusione di Jesus is King. Okay, sarà più fuori di tutti i balconcini dei navigli, ma Kanye West è tornato ai massimi livelli di creatività, genio, sperimentazione e tutto quello che non ci si aspetterebbe da un disco rap (di chiunque altro). Donda è complesso, ma non complicato. Ti entra nella pelle, passando per il cervello.

Ecco, ho appena fatto una divagazione da record, invece di parlare del disco dei Low. Cosa che invece sta facendo chiunque io incontri nell'universo di cui sopra. È una sorta di scena da film western. Ci si viene incontro come in un duello. Una sfida a chi sarà più svelto, arrivato a portata di voce, a estrarre un "Hai sentito l'ultimo dei Low? È il disco dell'anno!" BANG!

L'unica risposta al fuoco possibile è: "Certo, certo, l'avevo già capito tre mesi fa, quando era uscito il primo video. Che bomba." BUM!

Se ve lo siete persi, andatelo a vedere e sentire qui.

In effetti dà già un'idea di quello che è il disco Hey What. Del suo struggente lirismo, in un impasto di distorsioni elettriche ed elettroniche, di linee vocali dolcissime e inquiete. Un disco che come un mare calmo in superficie, sotto cui si agitano correnti impetuose e si intuiscono abissi abitati da oscure creature. Quelle creature che, in nel precedente Double Negative (disco dell'anno, forse, nel 2018), si spingevano fino alla riva.

Ma che mi succede? Demone brufoloso del recensore da fanzine anni Ottanta, esci da questo corpo!

Peraltro, il vero evento discografico esaltante di queste settimane, per quanto mi riguarda, è che stanno finalmente uscendo in vinile i dischi dei Karate. La mia band di post-rock preferita di tutti i tempi. Quella del chitarrista Geoff Farina, tra i pochissimi capaci di farmi quasi ricredere su una mia massima di vita: il virtuosismo è la tomba del rock'n'roll. Probabilmente, perché anche quando suona benissimo non ci mette una nota più del necessario. Ascoltare per credere, sebbene io vi consigli di attendere la ristampa di Unsolved, il capolavoro dei Karate.

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