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A casa di Judith Hermann

Mi disse, e le tue radici dove sono.
Io dissi, mah, temo di non averne.

Senza radici, senza direzione e senza un nome. La protagonista di A casa di Judith Hermann (Fazi) ci viene presentata così. Donna di mezza età, disincantata, accompagnata da una solitudine che insieme la spaventa e la consola. Sembra aver trascorso la vita alla ricerca di superfici chiuse. Scatole, teche e muri dentro cui barricarsi senza dare spiegazioni. Senza preoccuparsi troppo dei sentimenti suoi e degli altri, senza ascoltare la voce interiore e primordiale che le chiedeva di sviluppare quantomeno un qualche senso di appartenenza.

A casa
A casa Di Judith Hermann;

La protagonista di questa storia è una donna di cui non scopriremo mai il nome. Sappiamo però che ha appena chiuso un capitolo della sua vita per cominciarne uno nuovo: dopo che la figlia è andata via di casa, ha deciso di lasciare il marito. Priva di rapporti significativi al di fuori del nucleo familiare ormai sfaldato, la donna si trasferisce al mare, in una casa tutta sua.

I tappi nelle orecchie mentre lavorava in fabbrica per isolarsi dal resto, la cassa di legno dentro cui un mago da giovane le chiede di entrare per diventare assistente di un numero di magia, e poi infine la casa sul polder dove la donna si trasferisce dopo la fine del suo matrimonio.

Lei abbraccia la vita come se le cose le accadessero per caso, senza sforzo, senza investimento.

Vivo da sola in una casa. E all’inizio è proprio la solitudine a cullarla, il brivido scaturito dalla sicurezza di non dover dar conto a nessuno. Beata nella sua indipendenza.

Poi qualcosa accade, si potrebbe definire turning point, o più semplicemente un’epifania notturna che disturba l’apatia, facendo subentrare uno stato emotivo nuovo, tangibile, seppur estremo, la paura. Succede che di notte si spalanca la porta di casa.

Da quella notte provai una certa soggezione, e mi dissi che quello era il prezzo da pagare per stare da soli

E la donna allora esce intimorita e vede tutto. Vede le fattorie che si stagliano pesanti sulle pianure. Accetta la fine della sua relazione con Otis, accumulatore seriale di oggetti privi di valore. Ridisegna la figlia Ann, constatandone la mancanza. Conosce Mimi, la vicina di casa dalle ciocche argentate, selvatica e a suo modo saggia, e il fratello Arild, allevatore taciturno e irraggiungibile. Parla con loro, si muove assieme a loro, vive. Non più perdendosi nei ricordi, di cui aggrappa solo atmosfere e luci, ripercorrendoli nella mente più volte, come si ripete una parola con ostinazione fino a farle perdere il senso. Dà un nome ai rimpianti, accettandoli. E se da un lato assistiamo alla sua presa di coscienza sociale e personale, confrontandoci quasi con un romanzo di formazione al contrario, dove al posto di invecchiare la donna sembra ricongiungersi alla sua parte più genuina e scevra di condizionamenti e obblighi, dall’altro percepiamo anche le ricadute, i suoi tentativi mal riusciti di tornare al punto di partenza, alla ricerca di qualche rifugio in cui barricarsi.

Venne quella sera e piazzammo la trappola per martore sotto la piccola tettoia sul retro della casa, da dove secondo me la martora entrava e usciva dal solaio insinuandosi tra le scandole

Come la martora che tenta per tutto il romanzo di intrappolare, la donna cerca di opporre resistenza alla sua stessa libertà. Nostalgica verso tutto quello che aveva un tempo, nostalgica delle tracce del passato che si confondono con quelle che sta lasciando nel presente. Un’oscillazione non perpetua, destinata a stabilizzarsi quando lei decide di abbracciare la calma. Uno stato d’animo sottovalutato che è però balsamo sulle ferite per una mente irrequieta, ciondolante. Quello di Judith Hermann è un libro tranquillo, un minimalismo di piccole cose enfatizzate da una lente di ingrandimento onnisciente e fedele. Un romanzo che esplora il significato stesso di casa. Non da intendersi come quattro mura stagnanti, quanto piuttosto come la ricerca, mattone dopo mattone, di un autentico senso di appartenenza all’interno di una comunità, di un panismo sociale che arricchisce e ravviva i sentimenti.

Questo mondo è il mio mondo perché mi trovo qui in questo momento

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Conosci l'autrice

Judith Hermann (Berlino, 1970), scrittrice tradotta in molte lingue e vincitrice di prestigiosi premi come il Kleist-Preis e il Friedrich-Hölderlin-Preis, è stata accostata per le sue raccolte di racconti a Carver e Cheever. L’amore all’inizio (Erich Fried Preis 2014), acclamato in tutta Europa, definito in Francia «un trionfo di sfumature» ("Le Monde") e in Inghilterra «il magistrale ritratto di un’ossessione» ("The Independent"), è il suo primo romanzo, pubblicato in Italia dall'editore L'orma.Nel 2024 esce per Fazi, A casa.

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