Tu non lo sai come vorrei
ridurre tutto ad un giorno di sole
tu non lo sai come vorrei
saper guardare indietro
senza fare sul serio, senza fare sul serio
come vorrei distrarmi e ridere
Ansia da felicità potrebbe partire così, fermare quell’istante preciso dopo la realizzazione delle cose ormai accadute e che forse potevano andare in un’altra direzione, magari più leggera. Sarebbe un’opposizione perfetta contro il tempo messo in scena in queste storie, debutto nella narrativa della cantautrice.
Tutti i protagonisti di questa sorprendente raccolta di racconti, prima prova letteraria di Malika Ayane, vivono in uno stato costante di ansia da felicità. La realtà non è mai definita, bianca o nera, ma ci si presenta in un caleidoscopio di sfumature cangianti. Ma quanto conta guardarci dentro e quanto rispecchiarci negli altri?
Già, perché Malika Ayane ferma dei momenti precisi, quelli del carico emotivo che sta per esplodere o è appena esploso e nel mezzo c’è quel brivido, quella paura che forse ci porta a scappare, a voler essere leggeri – senza fare sul serio – ma se non si è avvezzi a farlo, come ci si illude di potersi ritrovare nelle scelte lontane dalla tua essenza?
Nell’omonima canzone che dà il titolo al libro canta:
Chissà se un giorno passerà
Quest'ansia da felicità
Chissà che non torni la voglia
Di perdersi
E sicuramente persi sono i suoi personaggi, voci narranti con rapidi pensieri che guizzano via, puri nell’essere spontanei e fugaci. È come stare con loro, accanto, nei più intimi attimi. In particolare, alcuni di loro, sembrano incarnare perfettamente una normalità e una quotidianità sfuggenti, in cui chiunque può ritrovarsi e sentire una familiarità. Un caos che non conosce imbellettamenti e cerca costantemente di dare uno spiraglio ai suoi protagonisti che – per quanto legati – cercano di sganciarsi dal loro autosabotaggio.
Eccoli: in costante attesa di una felicità, spasmodica e necessaria, così da accrescere l’ansia di quando quel momento arriverà. In fondo, in questo, ci assomigliamo tutti: nel desiderio bramoso di riuscire a stringere qualcosa, capirci a metà e lasciarci stupire dalla vita che arriva, anche se lo fa sempre quando vuole lei. E così quell’attesa cresce – neppure recondita ma plateale – si manifesta nelle piccolezze che non avremmo mai notato, nelle cose che un minuto prima erano niente e poi sono tutto: un mazzo di papaveri, una tartaruga a pancia in su, un letto sempre vuoto, una testa che smette di ricordare.
Ad accompagnare queste fotografie narrative, una prosa che ci fa scoprire un lato di Malika Ayane che avevamo già intuito ascoltando le sue canzoni e godendo dei suoi testi: sincero, schietto, nitido. Uno stile che si concentra, con ironia e sottigliezze profonde, sull'insufficienza delle parole quando vogliamo dire troppo, ma non riusciamo a dire nulla, soprattutto a noi stessi. Onnivora di metafore e immagini immediate che rimangono impresse nella loro vivacità. Una vivacità leggiadra e sognatrice che, a differenza dei brani a cui ci ha abituato, si slega da una poeticità tipica dei versi canori e ci dona frasi schiette, talvolta tranchant e descrittive di un mondo che impatta nel suo realismo.
Dunque, stile, personaggi e un’idea di mondo particolare e frenetica fanno da sfondo a una capricciosa e bisognosa ginnastica posturale del disattendere, come capita sempre, la vita fa il suo corso e, probabilmente, i suoi piani sono sempre più grandi di quello che avremmo immaginato. Grande e inattesa felicità.
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