Arrampicare di Mauro Corona

In un suo romanzo vagamente autobiografico, Stefano Benni scrive che bisognerebbe assomigliare alle parole che si dicono. L’ultimo libro di Mauro Corona fa esattamente questo: è un diario intimo e coerentemente frammentato, in cui sfumano i confini tra l’accaduto e il pensiero, la citazione e l’invenzione, la conoscenza e l’esperienza. La Storia e la storia, per citare qualcun altro. Non è fiction ma non è neanche autobiografia, non nel vero senso della parola, quantomeno.

Cosa aspettarci, Arrampicare ce lo dice subito, nel sottotitolo: «una storia di rocce, di sfide e d’amore». L’amore è quello per la montagna, la protagonista indiscussa di ogni pagina. Ma l’amore è anche quello per la vita, persino quando la si scommette tra le vertigini degli strapiombi (anzi, soprattutto allora). Perché la montagna ha le sue regole e i suoi doni, e li può conosce solo chi osa. E chi ama. La differenza non è poi molta, vista dalla cima.

E la sfida è certamente quella con la roccia, ma è anche quella con sé stessi, con la misura della propria umanità. Poiché, come tratteggia bene Corona, la vera gara non è mai con le montagne, è con le paure.  

Nel corso della lettura la voce dell’autore diventa una spalla, una guida, una compagna di bevute, l’altra metà della salvezza su una parete di pietra; e allora non importa più nient’altro, nemmeno quel po’ di boria che talvolta lo contraddistingue, perché c’è onestà, perché c’è passione, e l’unica voglia che si ha è quella di seguirlo ancora e ancora. Ora ad aprire le strade tra il gelo eterno della Groenlandia, ora a rubare con gli occhi l’arte della scultura da Augusto Murer; fino a litigare in due lingue diverse con la polizia statunitense, in una macchina parcheggiata appena sotto lo Yosemite Park. E poi sognare di farlo tutto da slegati, con l’amico di una vita. E l’eco dell’origine del mondo proprio sotto alle mani.