“Faye beveva e parlava svelta ma io ritrovavo quel fraseggiare che la distingueva, quel suo modo di accelerare alla fine della frase, di comprimere le sillabe e affrettarle con ardore, come chi si getta palate di terra alle spalle”
Non c’è niente da fare, ci sono autori che riescono a vedere oltre ciò che guardiamo noi comuni mortali, a cogliere suoni che noi non percepiamo, odori di cui non ci accorgiamo, a distinguere dettagli nascosti là, in quegli interstizi della vita di cui non abbiamo piena consapevolezza, ma che della vita ne costituiscono la fibra.
Maylis De Kerangal ci riesce con una prosa intensa, poetica, accorta e puntuale in grado di espandere i particolari dell’esistenza e attribuire loro la giusta attenzione. Al centro di questa raccolta di racconti c’è la voce umana che, ovviamente, non è solo suono dato alle parole.
Le voci ci guidano, ci confortano, sono onnipresenti, le voci sono tutto, provate a chiudere gli occhi e a concentrarvi e ve ne accorgerete. Come agili canoe dei grandi laghi, le voci delle donne che attraversano questi otto racconti di Maylis de Kerangal compongono un originalissimo romanzo della voce umana.
Quella “vibrazione singolare” che trasmettiamo all’atmosfera è espressione, rivelazione, identità. Nelle sue storie, De Kerangal racconta di voci che palesano, tradiscono, evocano. Voci che a volte devono essere modificate per avere il semplice diritto di agire.
“Zoè è dunque partita alla ricerca della sua voce grave, quella che connota la competenza, l’autorità e la sicurezza negate alla sua voce acuta… uno svantaggio naturale, quello delle voci femminili, perché più parli acuto più vieni percepita come fragile, nervosa, meno resistente, al contrario, più la voce è grave, più sei giudicata solida, rassicurante, degna di fiducia…”
Le voci stimolano ricordi, rivelano forzature, traumi. E certe voci faticano a venir fuori:
“… si è bloccato alla prima sillaba, le labbra contratte su un suono che si ripeteva, ritornava, insisteva, ma non riusciva ad attaccarsi ai successivi, a dire la parola, la frase, la proclamazione in cui si era lanciato, il flusso del suo discorso annientato al primo respiro, come se le decine di sedute di ortofonia, la ginnastica con l’apparecchio fonatorio, gli esercizi di respirazione, come se ogni metodo si fosse volatilizzato, il linguaggio era fuggito via dalla bocca di mio fratello e la cosa riecheggiava nella stanza… percepivo il caos che allagava il suo palato, i fonemi catapultati contro i denti schiacciati gli uni sugli altri, fino a formare adesso una specie di tappo inespugnabile…”
Maylis De Kerangal ha la capacità di raccontare lo straordinario che c’è nell’ordinario. L’incontro con una vecchia amica, la difficoltà di dire addio a un affetto, una festa di diploma o delle lezioni di guida sono occasioni per ascoltare, osservare, riflettere. Cogliere una frequenza nel mondo.
“…il timbro chiaro e vivace, una voce dal flusso sincopato, acuta, ma capace di elevarsi senza stridere – un ruscello di montagna… noi accampate nel cuore dell’Aubrac con le canoe che riposavano sull’erba, era estate e la tenda amplificava il suo canto come un patio andaluso. Zoé aveva la voce limpida e il silenzio tra i suoni era di una densità di platino.”
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