Io mi domando: perché tutto quest’entusiasmo s’infiamma solo per Napoli? Non c’è un solo presentatore - nemmeno il compianto Daniele Piombi - che per una volta abbia fermato la trasmissione per gridare al mondo che «gli astigiani sono straordinari!», «che crema al cucchiaio gli individui di Bressanone!», «rinuncerei al mio stipendio per essere amico di un maceratese!». O che almeno ci risparmi il pistolotto sull’amore per Napoli. C’è da chiedersi perché questi presentatori fanno ciò. Il motivo appare chiaro: hanno paura
Il nuovo libro di Alessandro Gori, Confessioni di una coppia scambista al figlio morente, edito da Rizzoli Lizard, è una raccolta di racconti fatta di risate amarissime che si deformano in un grido disilluso. Gori è noto per la sua pagina Facebook, "Lo Sgargabonzi", che tuttavia riflette solo in minima parte la sua ricchezza di scrittore comico e performer. Comico, qui, vuol dire ansiogeno, nevrotico, vuol dire realismo isterico e massimalista. Un’analisi del mondo e delle sue manifestazioni così dettagliata che diventa insopportabile da stare a guardare.
Analisi è la parola chiave di Confessioni di una coppia scambista al figlio morente. Forse, quindi, è anche inesatto definire questo libro una raccolta di racconti: rispetto al libro precedente di Alessandro Gori, Jocelyn uccide ancora, qui ci si trova davanti a uno spostamento letterario decisamente contemporaneo verso il territorio della fiction/non-fiction: mockumentary e falsi reportage; finti saggi, articoli e tutorial; mescolanza infinita di realtà e dimensione onirica. Gori storpia e deforma storielle pop, chiacchiere e fenomeni mainstream: dai post virali online, come quello sull’uomo che fa cadere una banconota da dieci euro per aiutare la signora davanti a lui a pagare la spesa senza metterla in imbarazzo (racconto che finisce qui con un ricatto, seguito da una testa impalata), fino alle barzellette di Pierino (con la nonna che muore tra le sue braccia), passando per mail immaginarie tra Franco Locatelli e Ana Matronic, favole di Esopo, curiosità sui malati terminali, considerazioni sulla tecnica di Federer che richiamano e capovolgono la saggistica di David Foster Wallace.
Si tratta di un libro più intimo, raccolto, meno sbraitante ma più arrabbiato; forse di un libro che ha meno bisogno di dimostrare un talento letterario, che emerge però spontaneamente osservando l’attenta ricerca lessicale e stilistica di ogni pezzo. I temi di Alessandro Gori vengono qui cristallizzati, come in un manuale preciso della sua concezione tematica e formale di umorismo. Non una ricerca della risata sterile, della simpatia da social, neppure una ricerca di riflessione o analisi, ma una semplice manifestazione del caos in cui siamo immersi. Si tratta della risata del Joker, dell’illusione di un anziano che sta perdendo la memoria e cerca di aggrapparsi nervosamente ai simboli luccicanti della propria infanzia, dell’urlo sorridente che si potrebbe provare cercando di svegliarsi da un incubo e rendendosi conto che non si sta dormendo. La comicità del corriere che suona il campanello e ti consegna un nuovo gioco da tavolo, fermando così per un secondo l’inevitabilità del tempo che passa, del tutto che finisce nel nulla.
Novantacinquemilatrecentottontasei giorni da quella scatola bianca di quel deduttivo della Editrice Giochi, dalla foto dei miei alla pensione Garisenda, dal primo Stecco Ducale della Sammontana, dalla truffa di Maura Livoli a TeleMike, da Liquirizia e la sua pallina di Saronni. Domani sarà tutto magicamente risolto e imbusterò le carte una a una, lentamente, con le bustine ad alta grammatura che costano il doppio, così che non si sciupino, che restino come sono. E pure io e tutto quello che ho intorno, con loro
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