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Educazione indiana di Ram Pace

Quando si leggono storie famigliari appassionanti viene sempre in mente il celebre inizio di Anna Karenina: "tutte le famiglie felici sono uguali, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo". È il caso di Educazione indiana di Ram Pace (Giunti) un memoir che ripercorre una storia di famiglia tanto dolorosa, quanto originale.

Educazione indiana
Educazione indiana Di Ram Pace;

Pochi hanno avuto un’infanzia così non convenzionale. Ram Pace è cresciuto a Roma con un fuoco sacro nel salone di casa e ha avuto un padre santone. È stato abbandonato due volte dai suoi genitori ed è partito per l’India alla ricerca del padre diventato un eremita indù.

Nato a Roma nel 1978 Ram viene battezzato con un nome indiano, Ramchandra, che significa “figlio della luna”, dal padre Alessandro, rampollo della borghesia romana che è sfuggito dallo studio di commercialista del padre per andare in India, folgorato sulla via del Dharma da quella cultura e dalla mistica induista.

Educazione indiana è un libro curioso, si snoda nell’arco di un quindicennio, da quando l’autore bambino, intorno agli 8 anni, inizia a capire l’eccentricità e la particolarità del padre, a quando si riconcilia con la sua figura ingombrante in un finale viaggio in India con gli amici nel passaggio simbolico di millennio. Mentre il padre intraprende il suo percorso mistico per diventare un baba, un asceta venerato, costruendo il suo ashram rifugio nell’estrema periferie Ovest di Roma, una baracca con il duni, il fuoco sacro al centro, quasi al limite con la discarica di Malagrotta, la madre di Ram, studentessa di psichiatria, scappa in Gran Bretagna per seguire il suo maestro David Cooper, l’inventore dell'antipsichiatria e curatore di quel volume seminale di Einaudi La morte della famiglia.

Se la madre insegue il suo destino di erede di ebrei erranti, in fuga dalla Mittel Europa alla Tunisia, il padre sente il richiamo del kundalini di Shiva e porta il figlio in India per seguire una via ascetica, che nelle pratiche rituali fuma la charas, la resina di cannabis, dal cilum, la pipa indiana. Non esistono molte opere che raccontano la fascinazione generazionale che dagli anni Sessanta ha portato tanti occidentali a incontrare le culture orientali. A parte la beat generation e l’avvicinamento al buddismo di alcuni suoi membri come Jack Kerouac, sono poche le opere che parlano di questo incontro. Negli ultimi anni solo Paolo Cognetti, con le Otto montagne, ha raccontato questo dialogo e questo potere di attrazione. In Educazione indiana si dà conto della portata del fenomeno che portò a creare intere comunità di italiani in India, dove si potevano trovare anche delle fettuccine con il pomodoro se si era in crisi d’astinenza alimentare.

La cosa curiosa del libro di Ram Pace è che c’è tanta India, ma anche tanta Roma, un quadrante poco raccontato (quello ovest, Massimina, Prima Valle e Boccea) e un periodo tutto da scoprire degli anni Novanta, con i primi centri sociali come il Break Out e la stagione della techno con i primi rave party illegali.

Anche la madre del narratore, personaggio non meno ambiguo del padre, finirà poi adepta di una setta controversa come quella di Osho (da recuperare il documentario “Wild Wild Country” su Netflix, circa l’evoluzione della setta negli Stati Uniti). Ma è il padre la figura con cui Ram Pace fa i conti, un padre idealizzato e narcisista, un educatore antimaterialista dall’ego però soverchiante e dal pessimo carattere. Il pregio principale di Educazione indiana è che non si cede mai al vittimismo e a facili turning point, per affrontare, quasi in modo terapeutico, la difficile ricerca del proprio sé in rapporto al mondo, da uomo libero.

Oggi il padre di Ram è un baba con un certo seguito e venerato nella periferia romana, che appare in qualche servizio curioso del Tg regionale, sul quale Ram Pace stesso ha girato un documentario, “Samsara Diary”, in cui ripercorre il rapporto con il padre alla vigilia della nascita del suo primo figlio. Ma questa è un’altra storia: Educazione indiana si conclude molto prima, quando si realizza un viaggio iniziatico al contrario.

In conclusione viene in mente un’altra citazione sfogo di André Gide: “Famiglie! Vi odio! Focolari chiusi; porte serrate; geloso possesso della felicità”.

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