Cosa accade quando pensiamo di aver capito la trama di un racconto o di un romanzo ma le nostre convinzioni vengo ribaltate – o per lo meno modificate – nel corso della lettura?
“Grasso, trasandato e malinconico, con il vestito di lino verde chiaro in cui sembrava fluttuare, Almada uscì ostentando un’aria di segreta euforia nel tentativo di occultare quanto fosse avvilito”.
A prima vista questo può sembrare l’incipit di una storia ben narrata, e infatti lo è, ma non è solo questo.
Falso nome, titolo della raccolta di racconti di Ricardo Piglia, edito nel 2021 per la prima volta in Italia da SUR e tradotto da Pino Cacucci, rappresenta un esercizio di stile letterario sorprendente, dove realtà e finzione sembrano intrecciarsi indissolubilmente.
Un viaggio notturno per raggiungere un padre in fin di vita; un vecchio pugile che si aggrappa a un ritaglio di giornale per rievocare gli antichi splendori; un uomo che tace invece di pronunciare le poche parole che potrebbero salvare la vita di un bambino.
Le atmosfere malinconiche e sognanti – ma allo stesso tempo crude – di un’Argentina di metà Novecento sono lo sfondo di sei stralci di vita dove, accanto a personaggi di fantasia come Esteban e Adela, trova posto la persona di Roberto Arlt, scrittore e drammaturgo argentino. Coinvolgendo la figura di Arlt in una storia riguardante un suo manoscritto andato perduto, Piglia fa di lui un altro personaggio, inserendolo in un racconto verosimile che lascia sempre il lettore nel dubbio tra il vero e il falso e che darà anche il nome all’intera opera.
Attraverso i vari generi che caratterizzano i racconti, dall’autobiografia, al poliziesco, alla storia familiare e d’amore, il discorso dell’illusione e dell’ambiguità sembra essere il trait d’union di tutte e sei le storie e viene proposto al lettore in varie declinazioni.
“Era sempre stato così: suo padre mentiva, cercava di mantenere una certa dignità, falsando tutto, tranquillizzava gli altri quando era lui che aveva bisogno di aiuto”.
Questa sorta di affascinante ambiguità, oltre a essere presente nelle parole e negli atteggiamenti dei personaggi che compongono l’opera, la ritroviamo nelle parole di Arlt inserite nelle note:
“Tutti noi che scriviamo e firmiamo, lo facciamo per guadagnarci il pane. Nient’altro. E per guadagnarcelo non esitiamo ad affermare che il bianco è nero e viceversa. La gente cerca la verità e noi spacciamo banconote false. È il nostro mestiere, il métier. La gente crede di ricevere mercanzia legittima e si illude che sia materia prima, quando si tratta a malapena di una rozza falsificazione, di falsi che a loro volta si ispirano ad altri falsi”.
Che si tratti di questioni contenutistiche o paratestuali, la verità sembra sempre essere relativa e mai assoluta. Lo stile asciutto e descrittivo – a tratti distaccato – di Piglia favorisce l’illusione del metatesto e riesce a dipingere con tratti precisi ed evocativi i personaggi attraverso le loro caratteristiche estetiche e i loro comportamenti, ma anche attraverso un uso “dostoevskiano” dei dialoghi. Non ci sono spiegazioni date dall’autore, ma i personaggi parlano da sé e si rivelano da soli agli occhi del lettore.
Un’opera profonda e completa che nelle sue 192 pagine riesce a trasmettere parte della complessità dell’uomo e del mondo, che sia esso vero o inventato.
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