Il mio amore per te è l’amore di una statua per un’altra: in tensione e statico
È la storia di un assedio quella che ci viene raccontata in Esercizi di potere, silloge di Margaret Atwood, scritta e pubblicata nel 1971 ma arrivata in Italia soltanto a novembre 2020 nella limpida traduzione di Silvia Bra per le edizioni Nottetempo. Il fulcro della raccolta è la coppia come territorio di guerra: un corpo a corpo, una sfida, una gara di logoramento tra i due.
"Il mio amore per te è l’amore di una statua per un’altra: in tensione e statico."
Su quest’uomo e questa donna agiscono fantasmi antichi, che prendono o perdono forza a seconda del momento.
Accade che si amino e si odino, che vogliano distruggersi e si accarezzino, che uno domini sull’altro e viceversa. Accade soprattutto – e questo fa la differenza – che a raccontare sia una donna.
"Al ristorante discutiamo / su chi di noi pagherà il tuo funerale. Sebbene la questione sia / se io ti renderò sì o no immortale."
La dichiarazione poetica è chiara quanto quella politica: la poesia è ciò che ci definisce e ci sopravvive; e se eternare la donna amata è un compito spettato per secoli ai poeti, ora è nelle mani proprio di quella stessa donna.
"Mi accosto a questo amore come una biologa / infilandomi i guanti di gomma & il camice bianco".
La donna angelo, da guardare ed eventualmente lodare, ha cambiato di posto: adesso è lei che s’infila il camice, osserva, descrive, tassonomizza. Atwood decostruisce la lirica dell’assenza e ne inventa una nuova, dalla penna chirurgica e tagliente, con un’onestà feroce.
L’opera si fa simbolo di un’epoca – quella del primo femminismo, della messa in discussione dei rapporti di potere tra uomini e donne; eppure la sua forza è l’attualità: come ogni grande scrittura non si limita a interpretare il proprio tempo ma restituisce il passato e prefigura il futuro. Lui, l’amato, è vivo e infestante: un coacervo di virus e batteri, un parassita, un fungo, uno "strano fenomeno" da contrastare e mettere in versi, a memoria imperitura. E allo stesso tempo è altro – e in questo altro c’è il mistero di un incontro, l’intelligenza tra due corpi, il potere di un sentimento.
"Dormo nella luce del sole / mi occupi così: completamente". E allora "la prossima volta che commettiamo amore, dovremmo scegliere prima cosa uccidere", dice lei, perché la fiamma e il legno che brucia sono tutt’uno. Anche a costo di contraddirsi, di ferirsi.
Se solo si abbandonassero l’uno all’altro, si lasciassero toccare più a fondo, acconsentissero a sentirsi esposti, si potrebbe interrompere il ripetersi di questa bellicosa coazione; ma c’è un punto inscalfibile di resistenza, una maglia serrata che non si lascia allentare, come se davvero fosse troppo difficile accettare il fatto che chi penetra è sempre anche penetrato.
E che l’incontro con l’altro ci rende tutti, similmente, fragili. "Se ti amo / questo è un fatto o un’arma?".
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