1882, epoca tardo-vittoriana. Varcate le soglie del Triangolo Nero, all’apparenza solo un conglomerato di quartieri poveri di New York, ma nella realtà una Babilonia rediviva nella Grande Mela, un’orgia tumultuosa di ladri, cortigiane, abortisti di strada e trafficanti di oppio. Il gioco d'azzardo emerge come il vizio più innocente, quasi un'oasi di rettitudine in mezzo a questo pandemonio brulicante di vermi e malattie veneree.
Immaginatevi Peaky Blinders o Gangs of New York di Scorsese, e forse inizierete a pregustare l'atmosfera di Gli aghi d’oro, un pulp senza freni di Michael McDowell, scrittore di culto negli States, ma poco noto in Italia, almeno fino alla recente riscoperta di Neri Pozza, che, grazie alla pubblicazione della saga Blackwater, ha saputo lanciare l’autore anche nel nostro paese. Su questa straordinaria vicenda editoriale e narrativa potete leggere il nostro approfondimento.
Alla fine del XIX secolo, convivono due mondi opposti. Da un lato, l’opulenza e lo splendore. Dall’altro, i peggiori vizi dell’uomo: alcol, denaro e sesso. È su questo confine che una ricca famiglia cerca di affermarsi pretendendo di liberare la città dalla corruzione.
La protagonista del romanzo è Lena Shanks, matriarca di un impero criminale tutto al femminile e regina del Triangolo Nero, dove esercita il suo dominio senza interferenze da parte della polizia o di qualunque altro potere costituito. Tuttavia, l'autorità della protagonista verrà sfidata dalla pubblicazione di una serie di articoli giornalistici del Tribune sul Triangolo, in un presunto sforzo dalle tinte puritane per ripulire il quartiere; una trovata che nasconde, in realtà, finalità politiche. Il mandante dell'iniziativa editoriale è il giudice Stallworth, integerrimo figlio dell’élite benestante della Grande Mela, che, al fine di migliorare la propria immagine pubblica e costruirsi una carriera tra le fila del Partito Democratico, organizza una serie di casi ad alto profilo per abbattere la famiglia Shanks.
Oltre a servirsi dei sodali della carta stampata per dare risalto ai processi, il giudice si affiderà anche ad alcuni sgherri reclutati all’interno del proprio clan familiare per pattugliare il quartiere manu militari e colpire da vicino gli interessi e gli affetti di Lena e degli Shanks.
Da queste premesse non potrà che nascere un sanguinoso scontro armato tra le due famiglie, tra gli Stallworth e gli Shanks, tra chi è costretto alla vita criminale per non morire di fame e i figli del privilegio, in un epico gioco del gatto e del topo, dove predatore e preda si scambieranno di ruolo finché non sarà proverbialmente troppo tardi e la tragedia inevitabile.
Gran parte di questa revenge story è anche un commento, molto sopra le righe, sul capitalismo, il classismo e l’ineguaglianza economica. Sebbene McDowell dedichi un tempo equo a entrambi i lati della legge, è chiaro che le sue simpatie siano leggermente più orientate verso i criminali emersi dalla miseria.
Sceglie infatti come protagonista Lena, un’antieroina dal sapore dickensiano, la cui violenza si scaglia non solo contro chi minaccia il suo status quo in città, ma soprattutto contro le strutture che l’hanno obbligata a disumanizzarsi fino a diventare un veicolo di quella rabbia cieca che si abbatterà, con furia sanguinaria, contro gli Stallworth.
Per chi si fosse appassionato al McDowell di Blackwater è importante sottolineare che in questo romanzo non vi è traccia del sovrannaturale, l’ingrediente principale nella maggior parte delle altre opere dell'autore nordamericano. Questo aspetto, però, non dovrebbe intimidire il lettore. L'elemento horror in questa storia è eminentemente umano e, in modo singolare, richiama lo stile di Dickens, sebbene lo trasformi in un'esperienza più "gore". Questo emerge soprattutto nell'approfondito esame della miseria della povertà, ritratta con crudo rigore chirurgico nel contesto dello squallore urbano e nella brutalità dei crimini perpetrati dai personaggi principali, disegnati con un realismo macabro dall'autore.
Per coloro che amano le storie di vendetta e i racconti più dark dell'era vittoriana con un tocco alla Grand Guignol, Gli aghi d’oro si configura come una lettura imprescindibile.
È sorprendente, infine, che nessun progetto cinematografico o televisivo abbia ancora scoperto questo romanzo, e resta da chiedersi quando qualcuno deciderà di portare questa storia sul grande schermo o meglio ancora, in forma di serie televisiva.
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