Scritto tra Viaggio al termine della notte (1932) e Morte a credito (1936), rubato assieme ad altri manoscritti inediti nel 1944, per poi essere rocambolescamente ritrovato nel 2021, giunge nelle librerie, pubblicato da Adelphi, nell’eccellente traduzione di Ottavio Fatica, Guerra di Louis-Ferdinand Céline.
Primo, folgorante scampolo dei famigerati inediti rubati nel 1944 dall’abitazione di Céline, e rocambolescamente ricomparsi più di settant’anni dopo la sua morte, Guerra narra episodi contemporanei alla prima parte del Viaggio al termine della notte
L’opera autobiografica, suddivisa in sei sequenze, si apre ad Ypres, alla fine del 1914, con il giovane corazziere Ferdinand, appena riavutosi dopo un bombardamento subito dal suo convoglio da parte delle truppe tedesche. Ferdinand è ferito al braccio destro e alla testa, si rende conto di essere l’unico sopravvissuto e, con estrema fatica, riesce ad essere ricoverato, grazie alla’aiuto di un soldato inglese presso il “Virginal Secours” della Peurdu-sur-la-Lys, affidato alle cure dell’infermiera L’Espinasse e del dottore Méconille. Guerra racconta i mesi che separano il ferimento di Ferdinand dalla sua fuga a Londra, trascorsi nel tentativo di riprendersi dal ferimento subito.
Ho sempre dormito così nel rumore atroce del dicembre del ’14. Mi sono beccato la guerra nella testa. Ce l’ho chiusa nella testa
Scritto di getto, senza che lo stesso Céline riuscisse a metterci mano per una eventuale pubblicazione durante gli anni della sua vita, Guerra è una splendida testimonianza delle conseguenze che può avere sul corpo e sulla mente di un uomo l’aver preso parte ad un orribile conflitto. In queste pagine la scrittura di Céline si fa visionaria, libera, violenta, molesta, le giornate trascorrono tra allucinazioni, attacchi di vomito, svenimenti e atti sessuali consumati in maniera feroce e laida, l’io narrante sembra avere una spasmodica urgenza di dare voce agli squarci della sua esistenza slabbrata, tanto da rendere la sua prosa un calco fedele di un gergo orale che non merita cura: lo schifo che ha vissuto non merita orpelli formali, ma va sversato così affinché tutti percepiscano il fetore delle giornate in cui ci si lascia vivere cercando di non impazzire. Ad un certo punto, Ferdinand viene improbabilmente decorato di una medaglia al valore per il coraggio dimostrato durante l’attacco al suo reggimento, ma questo non sposta di una virgola lo squilibro della sua mente, il suo desiderio malato di aggrapparsi all’alcol e al sesso per mettere a tacere quei rumori assordanti che si agitano nella testa:
Mi toccava sistemare tutto questo nella testa prima di riuscire a dormire, dovevo attaccarmi con tutt’e due le mani al cuscino, mettercela tutta, cacciare via l’angoscia di non dormire mai più, accorpare con quelli esterni tutti i miei rumori personali, tutta la batteria dell’orecchio, per arrivare a pezzi e bocconi a fare un’ora, due ore, tre d’incoscienza, come quando sollevi un peso enorme che poi lasci ricadere, per precipitare ancora in un’immensa sconfitta.
Pagine terribili sul trauma della guerra che aleggerà nelle opere più note dell’autore francese, pagine terribili che diventano persino attuali nel racconto delle cicatrici mai rimarginabili che scolpiscono le vite degli uomini che lottano tra loro.
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