Vivo in mezzo a una palude circondata da ruscelli. Vivo lì perché ci sono nata. Mi sarebbe piaciuto tanto nascere nella luce e nel sole
Sulla prima pagina di Giorno di vacanza di Inès Cagnati bisognerebbe mettere un’avvertenza: leggete questo romanzo solo se siete abbastanza felici, o potrebbe darvi il colpo di grazia. Infatti, come nel suo precedente libro Gènie la matta, l’autrice francese (riscoperta in Italia dopo la morte e pubblicata ora da Adelphi) trae ispirazione dalla sua infanzia contadina, isolata, segnata da numerosi lutti, in cui i sentimenti predominanti sono la vergogna per la propria condizione e l’odio per sé stessa.
Non si può crescere in un paese di paludi, di piogge, di nebbie, di terre livide dove tutto muore, senza rimanerne segnati per sempre e senza assomigliare a quel paesaggio inamabile. Né vivere in una casa fatiscente, sperduta fra boschi, malerbe e acque solitarie, dove anche l’amore è intollerabile violenza, senza desiderare che il mondo intero esploda «in una girandola di sangue».
La protagonista quattordicenne di questo romanzo, Galla, non ha niente al mondo. Va al liceo contro la volontà dei suoi genitori, pedalando per trentacinque chilometri su una bici scassata, perché non si può permettere il biglietto della corriera. A scuola viene maltrattata dai professori e presa in giro dalle sue compagne: loro sono belle e ricche, lei è povera, sporca, dice spesso di sembrare una zingara. Le altre hanno il grembiule rosa, Galla ne indossa uno verde acceso, appartenuto a una zia morta. Ha moltissime zie e le odia tutte. Ha anche molte sorelle, ma mente alla sua unica amica, Fanny, e le dice che sono tutte mancate a causa di un fulmine.
Fanny è uno dei pochi elementi positivi del romanzo. Galla la idolatra e si paragona a lei in continuazione, senza invidia, solo con un’enorme tristezza. Fanny è ricca, bella, ma soprattutto amata, è stata voluta dai propri genitori, e queste per Galla sono due cose intimamente connesse, tanto che a un certo punto dice all’amica senza mezzi termini: tu sei bella perché sei stata voluta.
Fanny è come un luminoso sole di primavera. Io somiglio alle pozze delle paludi. È terribile essere come me
Anche il paesaggio fa da specchio all’interiorità della protagonista. Il romanzo è ambientato in una campagna ostile, ingrata, segnata dalla nebbia e dall’umidità delle paludi. Quando è il tempo del raccolto, la famiglia di Galla non raccoglie il grano, ma i sassi. Galla si chiede spesso come sarebbe stata la sua vita se fosse nata al mare, nella luce, circondata da persone gentili e che si vogliono bene. Da piccola si illudeva che i suoi veri genitori fossero ricchi, che l’avessero persa e da tanti anni la stessero cercando disperati. Poi ha smesso di credere anche a quello.
Con la sua famiglia reale Galla ha un rapporto complesso: il padre è estremamente violento, è un uomo che le fa passare la notte fuori casa, nella stalla, e che impicca i cani quando sono diventati troppo vecchi. Galla ha una cagna anziana, Daisy, e vive nel terrore che presto anche lei verrà ammazzata. La cagna le fa da madre molto più della sua mamma umana, che subisce le botte del padre e non è capace di difendere le figlie. Eppure la protagonista prova per la madre una pena e un affetto sconfinati. Capisce di non essere stata voluta, lei stessa dice che avrebbe preferito non nascere, così sarebbero stati tutti più contenti. Una delle frasi che ripete di continuo è “È terribile essere come me”, proprio come in Gènie la matta veniva ripetuto “Non ho avuto niente io”.
In un clima permeato di miseria e abbandono, ignorata dalle persone che avrebbero dovuto occuparsi di lei, a Galla non resta che aggrapparsi alle uniche costanti della sua vita, un animale e un oggetto: Daisy e la bicicletta, che anche se scassata forse un giorno la porterà via di lì.
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