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Niente di nuovo sul fronte occidentale di Edward Berger

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Verso la fine della Prima Guerra Mondiale un nuovo contingente di giovani militari prussiani viene mandato a combattere in trincea. L’entusiasmo patriottico e tutta la propaganda soldatesca vanno progressivamente in frantumi quando arriva il confronto impietoso col dolore, la morte, l’insensatezza della guerra in sé e la sensazione che solo il Caso determini chi vivrà e chi no.

Niente di nuovo sul fronte occidentale venne acclamato, quando uscì nel 1929 per opera dello scrittore tedesco Erich Maria Remarque, come il più grande affresco antimilitarista che fosse mai stato pubblicato. Hollywood intuì immediatamente l’importanza di un simile romanzo e comprò i diritti, portandolo sui grandi schermi già nel 1930 tramite la regia – sapiente – di Lewis Milestone (in Italia giunse come All’Ovest niente di nuovo) che vinse anche l’Oscar, bissato da quello per miglior film. Sarebbe poi giunto anche in TV grazie al rifacimento dell’onesto mestierante Delbert Mann, nel 1979, ma il riferimento principale rimane quello del 1930.

Estremamente interessante notare come, dopo i due tentativi statunitensi (benché Milestone fosse nato in Russia), finalmente in Germania sia venuto in mente di riportare in auge uno dei capisaldi della letteratura tedesca nel Novecento. Per farlo, viene chiamato Edward Berger, fino ad ora principalmente apprezzato come regista di serie TV, sia in patria che in USA. L’autore – che qui in vero gira davvero molto bene, confermando come anche le serie TV “giuste” possano far crescere i veri talenti – tra i vari lavori precedenti si era fatto notare per Deutschland 1983, l’algida rilettura di cosa fosse la Germania Est in quel preciso anno (faranno seguito anche il 1986 e il 1989, ma 1983 resterà il migliore). Un passaggio fondamentale e che dimostra come il filmmaker abbia la giusta distanza per poter rileggere passaggi pur tremendi della Storia del suo Paese, siano essi le guerre o i regimi.

Con mano sicura sbatte i giovani militari nel fango e nell’acqua, li pone nelle disumane condizioni di dover tentare di sopravvivere in un andirivieni di insensati tentativi di guadagnare pochi metri di terra al costo di milioni di vite umane. Esattamente come Spielberg nello sbarco normanno di Salvate il soldato Ryan, obbliga fisicamente gli spettatori e correre nel vuoto, sperando che una pallottola non centri in pieno degli organi vitali. Il tutto, mentre chi ordisce orgogliosi e vani piani battaglieri sta seduto su comode poltrone e accarezza il proprio ego. L’unico volto noto, forse il tedesco più “utilizzato” al cinema, è quello di Daniel Brühl.

In sostanza: questo inappuntabile lungometraggio – capace di portare a casa quattro Oscar (film internazionale, fotografia, colonna sonora e scenografia) – è quanto mai necessario, ancora oggi, e ribadisce l’utilità chiave del cinema nel saper visualizzare l’orrore reale, nella speranza di poterlo disinnescare. Impossibile non confrontarlo anche con Orizzonti di gloria di Kubrick (il migliore, sulla Grande Guerra) e Uomini contro di Rosi, tra i vari. Mastodontico, tremendo, educativo e bello, assai.

Niente di nuovo sul fronte occidentale
Niente di nuovo sul fronte occidentale Di Erich Maria Remarque;

Pubblicato per la prima volta nel 1929, e da allora oggetto di innumerevoli edizioni, Niente di nuovo sul fronte occidentale viene considerato uno dei più grandi libri mai scritti sulla carneficina della Prima guerra mondiale.

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