Un titolo "Liala" per un romanzo newyorchese? Perché no?
Quel che colpisce nell’ultimo romanzo di André Aciman è la sfrontatezza con la quale l’autore sembra impugnare temi e toni di una storia tanto meravigliosamente inattuale quanto fortunatamente eterna.
La storia di un amore nascente, fra le campiture crepuscolari di una città – l’adorata New York – che è il terzo vertice di un triangolo scaleno.
Idillio sulla High Line sembra muovere da un gioco privato, dalla voglia di un autore che non ha bisogno di dimostrare nulla a nessuno quanto ad incontestabile capacità di raccontare i sentimenti.
Aciman racconta di Paul e Catherine, non più giovanissimi, chiamati un’estate a far parte di una giuria popolare a margine delle cui udienze in tribunale si conosceranno. Giorno dopo giorno, le reciproche diffidenze cederanno il passo a una domanda, destinata forse a restare inevasa: perché no?
Entrambi avvolti dalla coperta tiepida ma soffocante di matrimoni consunti, i due impareranno a condividere piccoli rituali – un caffè servito in un bar italiano, una passeggiata sulla High Line che affaccia sull’Hudson – sostituendo ogni più piccolo tassello di resistenza alla possibilità del cambiamento con quella domanda: perché no?
A New York, un uomo e una donna non più giovanissimi si incontrano per caso in tribunale, convocati alle selezioni per la giuria popolare. Un'incombenza poco allettante, che però potrebbe rivelarsi un piacevole nuovo inizio. Sbrigate le faccende formali, ogni giorno Paul e Catherine si concedono fugaci istanti insieme. Abilissimo cartografo dei sentimenti, André Aciman ha scritto un romanzo sul diritto all'amore, unica forma di resistenza possibile contro lo scorrere del tempo, che è il vero padrone delle nostre esistenze.
È questa la domanda che ad Aciman interessa lasciar risuonare in noi, nei lettori, in chiunque abbia vissuto abbastanza da poter misurare lo spazio che allontana la fase nascente di un amore da quella della sua "manutenzione" quotidiana. È in quello spazio che ciascuno trova il suo perché, e tutto ciò che in quel perché non può più entrare. E allora – man a mano che una nuova consapevolezza prende piede in Paul e Catherine – noi facciamo il tifo per loro, perché abbandonino le loro giuste, onorevoli renitenze per lasciarsi andare l’uno all’altra, e darsi una possibilità quando entrambi credevano che i giochi fossero già chiusi.
In questo libro si incontra tanto sentimento, all’ombra delle architetture colossali della città che non dorme mai e sognandone altre, lontane, più pittoresche e solo evocate. Non c’è traccia, invece, del fratello stupido del sentimento, il sentimentalismo, dal quale sarebbe stato facile farsi prendere la mano trattando un tema così e personaggi così. L’autore di Chiamami col tuo nome schiva trappole e insidie con divertita souplesse, spesso sterzando all’ultimissimo momento e imboccando strade che possano suggerire un nuovo orizzonte possibile.
Proprio come fanno Paul e Catherine. Proprio come può fare – sempre, fino all’ultimo momento - chiunque creda nell’amore. Perché no?
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