Signore e signori,
non solo è increscioso presentare i frammenti di un romanzo solo in parte delineato nella mente dell’autore, e in parte ancora indefinito; più spiacevole è arrivare qui con un manoscritto grezzo, e dunque metterlo alla prova, sapendo che molte frasi non hanno il giusto tono, molti passaggi non possono ancora avere il giusto tono
Con questa premessa il 9 gennaio 1966, dopo una fase di silenzio che segue la dolorosa separazione da Max Frisch e dopo ripetute crisi psichiche e ricoveri ospedalieri, Ingeborg Bachmann (su cui potete leggere un bell'approfondimento di Daniele Piccini) presenta alla radio svizzera la lettura - detta appunto Lettura di Zurigo - di alcuni brani del suo nuovo e attesissimo romanzo dal titolo Cause di morte, in cui si narra la storia di Franziska Ranner - detta Franza - in fuga dal marito Jordan, noto psichiatra viennese di cui è vittima, e del fratello Martin con cui Franza intraprende un viaggio in Nordafrica attraverso il deserto, la cui storia ritroviamo nel libro Franza, pubblicato da Adelphi nel 2009 nella traduzione di Magda Olivetti e Luigi Reitani, e da oggi disponibile in libreria nella versione tascabile.
Cause di morte, tra queste rientrano anche i delitti. Questo è un libro che parla di un delitto. Esso tenta di far conoscere, di ricercare qualcosa che non è scomparso dal mondo. Oggi è soltanto infinitamente più difficile commettere delitti, ecco perché questi delitti sono tanto sublimi che quasi non riusciamo ad accorgercene e a comprenderli.
Il titolo originario Cause di morte rimane a indicare un progetto più ampio: un ciclo articolato in più volumi, dei quali però sarà compiuto e pubblicato, nel 1971, solo il romanzo Malina, mentre Il libro Franza, continuamente accantonato, ripreso e integrato, uscirà postumo, anche se lo possiamo ritrovare “riversato” in un’altra storia, simile eppure diversa, come quella narrata in Latrato, uno dei magnifici racconti di Tre sentieri per il lago (anch’esso appena uscito in tascabile): qui una signora anziana di nome Jordan, terrorizzata dal proprio figlio, noto psichiatra viennese, ne mette in guardia la moglie, sua nuora, che di nome guarda caso fa Franziska, sorella di un certo, sempre guarda a caso, Martin Ranner.
In Bachmann i nomi si mescolano, come i temi e le immagini stesse, intrecciandosi a testi passati e futuri, continuamente e forse nevroticamente reimpastati, come può accadere se si è immersi in una storia a cui si sta cercando faticosamente di dare la giusta voce, il giusto tono, ovvero quella forma definitiva che nel caso del Libro Franza non arriverà mai. Bachmann continua a lavorarci, temendo che dalla figura della protagonista trapeli ancora troppo della propria vita, della propria sofferenza amorosa ed esistenziale; è il tentativo di trasformare il dolore privato in un dolore universale, in qualcosa di compiuto e distante da noi, che ci consenta di afferrare e insieme decifrare, come solo i sogni e la letteratura sono in grado di fare, una realtà caotica e spesso incomprensibile:
I miei enigmi diurni sono più grandi di quelli dei miei sogni notturni, e allora ti accorgi che non esistono gli enigmi dei sogni, ma soltanto enigmi, enigmi diurni, l’ineffabile caotica realtà che tenta di articolarsi nel sogno, che talvolta ti mostra in modo geniale, in una composizione, che cosa ti sta capitando, poiché in altro modo non lo capiresti mai
Nel Libro Franza, rispetto alla prima pubblicazione (sempre per Adelphi, del 1978 con il titolo Il caso Franza) la diversa disposizione del materiale narrativo, e l’aggiunta di altri testi, consente al lettore di orientarsi e comprendere maggiormente il complesso processo di scrittura. Grazie alla Lettura di Zurigo collocata in apertura, e alle Prefazioni a "Cause di morte”, in cui sono raccolte introduzioni alle letture del romanzo che la stessa Bachmann fece tra il 1966 e il 1967 prima in Germania e poi in Italia, chi legge riesce a mettere a fuoco con più chiarezza questioni centrali che attraversano il romanzo, nonché le implicazioni poetologiche di alcune riflessioni. Il lettore non abbia però paura di perdersi: se vorrà, potrà farsi accompagnare dall’impeccabile ricostruzione filologica dell’introduzione di Luigi Reitani, senza dimenticare di lasciarsi anche semplicemente sorprendere dalla prosa lucida e insieme allucinata di Bachmann, in cui il frammento, l’ossessiva ripresa di alcune immagini, le variazioni con cui vengono riproposti gli stessi passi, sebbene non siano un effetto completamente voluto, in quanto risultato di un’opera in fieri, finiscono tuttavia per diventare l’elemento di forza di questo romanzo che continua a sorprenderci per la capacità di aprire una breccia nel dolore e smascherarne i colpevoli. Scrive Bachmann:
In questo libro c’è dunque questa sorella maggiore, c’è il suo morire, e c’è la vicenda del fratello che l’accompagna e che alla fine resterà libero da ogni vincolo. Questo libro però non è solo un viaggio attraverso la malattia. Cause di morte, tra queste rientrano anche i delitti. Questo è un libro che parla di delitto
I delitti a cui si riferisce Bachmann sono quelli di una “società elevata” in cui gli uomini si sentono “trasformati in agnelli e in campioni di indignazione”. Partendo dal presupposto, rivelatosi ben presto utopico, che il 1945 rappresenti una sorta di cesura - perché è “venuta meno la possibilità di lasciar scorrere sangue, di torturare o di uccidere nelle camere gas” - seppure in apparenza meno eclatanti, i delitti sono altrettanto efferati, “così sublimi che non riusciamo a vederli e a comprenderli” anche se commessi ogni giorno “segretamente e impunemente sotto i nostri occhi”. Di fronte al “virus del crimine”, di fronte al Male, la letteratura appare "troppo poco audace, innocua, impotente e minimizzante”, sospetta di complicità: nasconde la violenza di una società intera che fa passare gli assassinii per semplici morti, gli omicidi per suicidi, ma anche i drammi, le cause di morte, come nel caso dell’uomo, il genere maschile, un marito nonché un noto psichiatra che ha scritto un libro sui danni postumi riscontrati nelle prigioniere dei campi concentramento, e nondimeno è capace di distruggere la moglie trasformandola in un caso. Invece non dovrebbe la letteratura, come ha scritto Cioran, “frugare nelle ferite” e addirittura “provocarne di nuove”? Non dovrebbe un libro “essere pericoloso” ? (da Squartamento, Adelphi). Ebbene Il libro Franza lo è, perché induce il lettore a guardarsi dentro, a interrogarsi.
I luoghi d’azione del romanzo sono tre, come tre sono i personaggi principali e le prospettive narrative: Galicien, Vienna e il deserto. In ognuno di questi luoghi troviamo una Franza diversa, e un diverso modo di percepire il tempo. A Galicien, luogo primordiale dell’infanzia, dell’impossibile ritorno all’infanzia, Franza è una sorella che si scambia il respiro con il fratello, come nella poesia Il gioco è finito che apre L’Invocazione all’Orsa Maggiore; sorella e fratello rappresentano una coppia mitica, una unione purissima come quella di Iside e Osiride, ripetutamente citata nel libro a partire dal verso di una poesia di Musil che a sua volta si rifà al mito egizio per descrivere i gemelli Ulrich e Agathe.
A Vienna Franza, braccata dal marito, diviene un caso psichiatrico: “Perché mai uno vuole assassinare la propria moglie? Perché uno odia le donne e vive con loro?” si domanda; e continua, con un certo sarcasmo: “Sì, credo che Barbablù esista, e Landru deve essere stato un pasticcione, un piccolo amabile criminale”. Vienna è una città crudele, popolata dai fantasmi della storia occidentale che perseguitano Franza anche nel suo viaggio in Nordafrica: al Cairo, ad esempio, dove Franza incontra un medico viennese responsabile di un programma di eutanasia del Terzo Reich. Anche qui non riesce a liberarsi dei delitti della storia. La ripresa ossessiva e sinistra del verso di Rimbaud - arrivano i bianchi - è un chiaro monito: i bianchi hanno contaminato tutto, si sono presi tutto:
Franza disse: hanno profanato le tombe. Martin pensò dapprima che alludesse ai ladri di tombe che ricorrevano nei discorsi che lui le teneva, e al fatto che per questa ragione si erano cercati nascondigli sempre più profondi per i morti e per le tombe. Ma lei insistette caparbiamente. No, non i saccheggiatori. I bianchi. Sono loro che hanno … le tombe. Non lasciano in pace neppure i morti. Fissò la tomba di Tutankhamon e disse: è un’infamia, è tutta una grande infamia. Non mi capisci? Sono fatti così. Non riesco nemmeno a guardare. Tutta l’infamia si addensa in me, perché non c’è nessun altro che l’avverta.
Sembra di sentire parlare il personaggio di Italia ne La chimera, ultimo e toccante film di Alice Rohrwacher, quando scopre che l’Inglese, l’uomo di cui si è innamorata, usa la sua capacità di localizzare le tombe nascoste nel sottosuolo per guidare un gruppo di tombaroli. Ma nel Libro Franza, però, non si tratta di una banda bislacca, per la quale nel film, nonostante tutto, si prova simpatia, o comunque comprensione, bensì di una civiltà, quella occidentale, che per redimersi dovrebbe perlomeno tentare di “riconsegnare i morti all’oscurità”.
È solamente nel deserto, luogo della luce e letteralmente dell’allucinazione, che Franza riesce per un momento ad abbandonarsi. Il deserto è un luogo mistico, dell’annullamento dei confini del corpo e della sua liberazione. Al paesaggio desertico Franza chiede di essere accolta e guarita. È qui che scopre la felicità del corpo ma anche la sua fragilità.
Soffrire è la decomposizione totale, la breccia per gli altri […] Soffrire è un accadimento che non era previsto, non per l’altro, non per me, è prendere su di sé. Di questo soffro, soffro per il cammello scannato, per le zanzare sul Lago di Zurigo, per le spiritosaggini di una vecchia amica, soffro perché qualcuno ha un certo cancro alla laringe, soffro perché tutto è incurabile. Soffro ogni volta, fino a perdere coscienza, ogni volta con una crisi di epilessia, soffro dopo una parola
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