"Io non sono un poeta" di Sergio Corazzini, edizioni Interno poesia: consiglio soprattutto ai più giovani di leggere e rileggere questo grande poeta crepuscolare italiano morto a soli vent'anni a Roma di tubercolosi. Recentemente sono stato a Verano e davanti alla sua tomba mi sono commosso, rivedendo la forza magnetica di un poeta che non è ironico come Gozzano, ma che ci racconta il destino tragico della sua vita
Basta ripercorrere la sua breve, brevissima biografia, per accorgersi che il destino di Sergio Corazzini è stato realmente tragico: il padre si era dato a errate speculazioni in borsa, la madre era malata di tisi, il fratello Erberto sarebbe stato coinvolto in un fatale incidente d’auto mentre il fratello Gualtieri sarebbe morto della stessa malattia del giovane Sergio, la tubercolosi.
La malattia romantica, come era conosciuta all’epoca, in base alla convinzione che chiunque ne soffrisse fosse dotato di una forma di sensibilità nascosta.
Nel caso di Sergio Corazzini, forse era proprio così. Il suo primo componimento risale al 1906, quando il futuro poeta non aveva che sei anni. Eppure questo appellativo gli sarebbe sempre stato inviso: lontano dall’autocelebrazione tipica degli emuli di D’Annunzio, nella raccolta Piccolo libro inutile, senza peccare di falsa modestia, Corazzini afferma perentoriamente di non essere un poeta, ma solo “un piccolo fanciullo che piange”.
Leggere l'intera produzione poetica di Sergio Corazzini significa entrare in contatto con una delle grandi voci liriche del Novecento. Considerato uno dei massimi rappresentanti del crepuscolarismo, in Corazzini c'è anche un'inarrestabile necessità di esprimere la propria vicenda autobiografica.
Il consiglio di lettura di Eraldo Affinati è una raccolta sentita e autobiografica, pervasa dalla cupa consapevolezza della morte sempre più imminente. Evidente appare l’influsso di Pascoli e Laforgue, arricchiti però da una vena di ironico distacco del tutto inedita per la corrente dei poeti crepuscolari.
Credo che molti giovani possano identificarsi e ritrovarsi nel grido d'amore di questo grande poeta, dotato di una voce unica
Se c’è un’età in cui ci si sente incompresi e si inizia a riflettere sulla caducità della condizione umana è proprio quella dell’adolescenza. A quindici o vent’anni si è soliti pensare che il proprio dolore sia del tutto unico e originale e che niente e nessuno sarà mai in grado di capirci davvero.
E dove non arrivano a capirci le persone, a volte si insinuano i libri.
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