La casa di legno brucia nel cuore della notte e la piccola Aurora non viene più trovata. Serena è padrona del suo destino, e nessuno è suo padrone. Ma dopo l’incendio allo chalet tutto cambia, e Serena inizia a precipitare nel peggiore dei sogni. E se l’istinto materno che lei ha sempre negato fosse più forte del fuoco, del destino, di qualsiasi cosa nell’universo?
Ascolta la lettura di "L'educazione delle farfalle"
Prima di passare a leggere la recensione, qui potete trovare la nostra intervista a Donato Carrisi, che ci è venuto a trovare per parlare del suo nuovo bestseller.
Tra le molteplici qualità della scrittura di Carrisi, una spicca distintamente tra le altre: l’abilità nell’erigere una struttura diegetica puramente cinematografica, una capacità che forse nessun altro scrittore può vantare in Italia. L’ibridazione tra i due media, cinema e letteratura, ha reso inevitabile negli ultimi vent’anni la commistione di linguaggi e forme, soprattutto nel thriller, e in Italia non possiamo che celebrare in Carrisi il campione e il miglior prodotto di questa tendenza. Non si tratta certamente di un talento nascosto ai più o a Carrisi stesso, data la sua carriera registica parallela, ma ne L'educazione delle farfalle diventa un manifesto compiuto, la dimostrazione che la fama di scrittore italiano più venduto all’estero poggia su basi evidenti.
Ogni pagina consente un’immediata lettura filmica della vicenda, dal ritmo dei dialoghi fino alla vivida descrizione scenografica degli ambienti, caratterizzati con la stessa cura con cui sono presentati i protagonisti, il reale punto forte di ogni romanzo di Carrisi, la ragione per cui il lettore compulsa la pagina dell’editore Longanesi nella speranza di vedere il suo nome tra le ultime uscite o nell’elenco dei titoli autografati dall’autore.
Anche stavolta incontriamo personaggi indelebili, gli outcast un po’ sopra le righe che popolano ogni buon thriller, anime nere in lotta in primis con se stesse e poi con il resto del mondo, contraddistinte da quel lugubre fascino noir che al tempo stesso funge sia da elemento repulsivo che da magnete, una promessa mantenuta in quest’opera dal personaggio di Adone Sterli, a nostro avviso una delle figure più affascinanti descritte da Carrisi, considerando anche i romanzi precedenti.
La protagonista è Serena, una ricca broker milanese sulla trentina, divenuta madre per caso durante una vacanza a Bali, rifugio in cui consumare e celebrare i privilegi di una vita che il proprio status impone senza preoccuparsi delle conseguenze. Il frutto di Bali è la piccola Aurora, padre ignoto, lineamenti esclusivamente materni, come se la nascita fosse avvenuta per partenogenesi, concetto più volte ripetuto nel corso dell’opera per delineare il chiaro solipsismo della protagonista.
Serena e Aurora costituiscono infatti una famiglia autosufficiente sia a livello economico che sentimentale, in cui l’affetto tra le due viene espresso in termini di promesse di pizze e di contesa delle fusa del gatto Gas, l’unica intrusione maschile nel nucleo familiare. Serena può apparire la caricatura di una donna moderna, spietata, anaffettiva e senza alcun istinto materno, ed è forse l’intenzione di Carrisi di dipingerla inizialmente in questa forma, caricandone i difetti. Tuttavia, ciò consente all’autore di imporre un graduale cambio di rotta alla caratterizzazione del personaggio nella seconda parte del romanzo.
A Vion, in un resort in cui Aurora viene mandata dalla madre per imparare a sciare, scoppia un incendio. Dopo la conta dei superstiti manca una sola bambina, purtroppo è Aurora. Non vi è traccia del corpo, e secondo la polizia non c’è alcuna possibilità che sia scampata al rogo. Tuttavia, per la protagonista, non può essersi trattato di un semplice incidente. A Serena viene quindi imposta una scelta: elaborare il lutto e accettare la scomparsa della figlia mai desiderata o combattere contro ogni evidenza e indagare da sola sull’accaduto, senza l’aiuto della polizia. Delirio indotto da sensi di colpa o complotto da svelare?
Da qui il romanzo cambia quindi registro e diventa un thriller psicologico, in cui il centro focale della vicenda, oltre all’immancabile whodunit imposto dal genere, diventa la formazione di un istinto materno emerso nella protagonista solo dopo la scomparsa del naturale recettore del sentimento, la figlia accettata con riluttanza e che ora si trova disperatamente a inseguire, sia per salvarla da un destino infausto, sia per educare se stessa, come il titolo suggerisce, al ruolo che non ha mai esercitato fino in fondo, quello della madre.
Pur rispettando tutti i canoni letterari attesi in un thriller, Carrisi riesce ogni volta a sintetizzarli e sublimarli in qualcosa di più, confermandosi una delle realtà più interessanti nel panorama letterario non solo italiano, ma soprattutto internazionale. Leggendo quest’opera in fondo non possiamo che chiederci cosa offrano di più rispetto a Carrisi dei fenomeni letterari come Gillian Flynn, Joël Dicker o i Lars Kepler. La risposta è presto detta. Assolutamente nulla.
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