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L'estate in cui mia madre ebbe gli occhi verdi di Tatiana Tibuleac

Quella mattina in cui la odiavo più che mai, mia madre aveva compiuto trentanove anni. Era piccola e grassa, stupida e brutta. Era la madre più inutile che fosse mai esistita

La testimonianza di Aleksy, pittore tormentato che rievoca - nell'ambito della sua terapia psichiatrica - l'ultima estate trascorsa con la madre, ha una scioccante carica emotiva.

La voce narrante è quella di Aleksy, il figlio, un adolescente con problemi psichici, che ha alle spalle una vita segnata dalla perdita e dall’abbandono. La madre gli propone un patto: trascorrere la sua ultima estate insieme per incontrarsi di nuovo come famiglia, in cambio lei gli promette che avrà tutto ciò che desidera, compresa la tanto desiderata automobile.

L'estate in cui mia madre ebbe gli occhi verdi

Aleksy ricorda ancora l'ultima estate che ha trascorso con sua madre. Sono passati tanti anni da allora, ma quando il suo terapeuta gli consiglia di rivivere quel periodo del proprio passato per tentare di superare il blocco creativo che sta vivendo come pittore,

Il romanzo si snoda lungo i tre mesi estivi in cui i due partono per il loro primo ed ultimo viaggio insieme con meta un paesino di villeggiatura francese.

Racconta l'evoluzione di quel rapporto tra madre e figlio, che attendono la morte come se fosse una rinascita: la madre confessa nelle prime pagine, che il cancro la sta divorando.

L’imminenza della morte la spinge a vivere intensamente quei giorni estivi condividendo col figlio tutto ciò che non hanno mai fatto insieme. Nello spazio di quell'attesa, in quel poco tempo circoscritto che non potrà mai più ripetersi, il loro legame - seppellito sotto anni di odio - riemerge e si rinsalda. 

Capii che la fine era vicina. In quel momento, mia madre aveva cominciato il viaggio verso il posto in cui si trova adesso. Verso la sua stella dell’Orsa Minore, verso il campo di girasoli sospeso in cielo o forse verso un altro universo, dove esiste solo un Grande Tutto di Smeraldo che di tanto in tanto si sbriciola e arriva su altri mondi sotto forma di occhi verdi

Furioso e brutale all'inizio, costruttivo poi, riflessivo e poetico nel tratto finale. L'evoluzione del testo segue lo sviluppo dei personaggi principali. La crudezza diventa più gentile, si va verso uno stile e un linguaggio più accurati per rendere profonde, precise e immense le sensazioni che racconta. Man mano che i giorni passano, siamo spettatori dei mutamenti fisici e mentali della madre. Mentre il suo corpo appassisce, scopriamo insieme ad Aleksy una donna intelligente, capace e strutturata. I suoi occhi verdi iniziano a occupare gran parte del suo viso, si impossessano delle pagine, acquisendo a poco a poco il ruolo di protagonisti. Parallelamente alla disintegrazione fisica di sua madre, assistiamo alla trasformazione di Aleksy. Se all'inizio abbiamo un adolescente cinico e adirato, alla fine dell’opera proviamo compassione per lui. Per la sua maturazione accelerata di fronte alla malattia della madre e a questa nuova intimità ritrovata. Le resta vicino e sente di poterla perdonare e amare liberandosi dai fantasmi del passato, riuscendo così ad affrontare la vita e custodire il ricordo di una madre ritrovata.

Con un linguaggio suggestivo che riesce a essere impetuoso e al tempo stesso delicato, l’autrice moldava ci avvolge in una storia dolorosa, dipingendo con le sue parole immagini nitide che si manifestano agli occhi del lettore come quadri indimenticabili.

In L'estate in cui mia madre ebbe gli occhi verdi (Keller) Tatiana Ţîbuleac, attraverso il sapiente uso di frammenti a volte quasi fotografici, ci guida in un’estate di attimi resi eterni dalla memoria. Entriamo nella mente sconvolta di Aleksy, che va avanti e indietro nel tempo e pagina dopo pagina colmiamo i vuoti e aggiungiamo i tasselli della storia. Ma alla fine, quando il protagonista parla è un uomo adulto, e forse tutto quello che vorrebbe è tornare laddove i papaveri crescono rossi e dritti sul bordo della strada, in quella densa estate di riconciliazione.

Avrei voluto rimetterle l’amore negli occhi a forza di pugni e dirle di continuare a tenerselo, magari per l’altro mondo dove, con un po’ di fortuna, sarebbe riuscita a convincere qualcuno di essere in grado di amare. Avrei voluto prendere una tenaglia rovente e strapparle in un secondo tutte le storie mai raccontate, tutte le ninna-nanne mai cantate, tutte le carezze sulla testa che mi sarebbero spettate ma che lei aveva nascosto come una spilorcia

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