Un orsacchiotto, «il primo dono gratuito della sua vita», come quei regali inaspettati che arrivano all’improvviso; come un cielo terso dopo giorni di pioggia; come il mare dopo infinite colline.
Simenon, con il suo scarno e chirurgico vocabolario, ci restituisce una storia che entra dentro le viscere del lettore e lo tiene incollato fino all’ultima pagina, quando la bomba ad orologeria che batte inesorabile il suo “tic-tac”, finalmente potrà esplodere, trascinandolo, in quella fatale esplosione.
Un uomo appagato, il professor Jean Chabot: ginecologo di fama, una moglie, tre figli e una segretaria amante, ripescata nella Senna. Da qualche settimana vede un giovane – il fidanzato del suo «orsacchiotto»?
Jean Chabot è un medico di successo, un ginecologo con due cliniche nel cuore di Parigi, segretarie per amanti e amanti per badanti.
È un cinquantenne probabilmente interessante, e sottolineo l’avverbio perché Simenon poco ci dice di quest’uomo dalle poche e laceranti parole.
Ha una moglie bella e mondana con la quale ha smesso di condividere emozioni, paure e lenzuola da molto tempo; tre figli quasi inaccessibili che hanno intrapreso strade da lui non condivise e neanche contrastate; una segretaria che svolge la doppia e triste funzione di amante e nume tutelare; una schiera di assistenti, infermiere e pazienti che lo guardano con un misto indefinibile di deferenza e soggezione.
Chabot non ha amici, se non uno, scovato per necessità tra le pieghe dei ricordi e tirato fuori come un coniglio dal cilindro: ultimo atto compiuto di un uomo ebbro.
Ed infine ha una madre che forse lo detesta e che segna, seguendo una psicologia spicciola, la chiave di volta di un disagio covato.
Il nostro protagonista è dunque un uomo qualunque ma di grande successo, come tanti, troppi ce ne sono in una società dell’apparire, forse nata proprio negli anni in cui Simenon scrive, che ha visto nella ricerca del successo il metro della felicità. Parallelismo, quello tra successo e felicità, fin troppo abusato, padre di infiniti mostri, taluni silenziosamente covati dentro il mondo interiore di ognuno di noi, altri violentemente gridati, spesso, segnati dal sangue.
L’andamento, come si addice ad un maestro del genere giallo, è incalzante, addirittura insostenibile. Dietro una apparente lentezza esasperata dalla descrizione minuziosa e attenta delle giornate, si cela un crescendo parossistico che induce protagonista e lettore a credere di conoscere già l’epilogo dei fatti e a temere che questo possa svilupparsi d’improvviso voltando semplicemente una pagina.
Straordinario, invece, l’effetto sorpresa reso ancora più sconvolgente dalla suspense che Simenon miete, foglio dopo foglio, costringendoci (tutti, nessuno escluso) a rivederci in questo libro crudele, magnifico e verissimo.
Precursore dei tempi, lo scrittore belga, ci disegna con la mina della sua matita, l’immagine di un uomo qualunque, quello che banalmente definiremmo “insospettabile” e che, sempre più spesso, si guadagna un posto in prima pagina sulla cronaca nera.
Ma cosa vuole dirci Simenon? Potrebbe mai un genio come lui soffermarsi solo alla banalità di una mera descrizione dei fatti?
La risposta è già nel testo, nelle continue allusioni al futuro, nei continui rimandi al passato. Chabot sa chi è stato ma non sa cosa è diventato.
Il malessere interiore, quasi custodito, accarezzato e taciuto negli anni, ha bisogno di esplodere; è necessaria la detonazione affinché si rompa il meccanismo preordinato di una vita ingabbiata facendo tornare, protagonista e lettore, liberi di vivere.
Basta, non era più possibile. Non sapeva precisamente che cosa, ma sentiva che non era più possibile
Per Chabot l’esplosione corrisponde ad una relazione fugace, a tratti riconducibile ad una violenza sessuale se lui stesso non avesse letto negli occhi dell’altra un piacere consenziente.
Chi gli avrebbe creduto, adesso, se avesse parlato di tenerezza? Eppure era stato un gesto tenero quello con cui aveva scostato il camice per liberare i seni: erano caldi e pesanti nelle sue mani e lei era trasalita di nuovo mentre, questa volta, un sorriso soffuso le affiorava sul volto
L’orsacchiotto, come lui stesso definirà la ragazza, segna un punto di cesura, uno spartiacque tra il prima e il dopo, tra l’accettazione della banalità e il rifiuto della stessa.
Ciò che avverrà da questo primo incontro servirà a trasportare Chabot nella vorticosa spirale della fine alla quale, il medico razionale, si affiderà con una cieca fede, irrazionale e istintiva.
Un roman dur come lo stesso Simenon definì i molti romanzi che, parallelamente a Maigret, scrisse con una dedizione assoluta, fisica e mentale ma che, a differenza del più ben famoso commissario con la pipa, sono intrisi di crudezza, violenza e molta introspezione psicologica.
E ci sarebbe da chiedere quanto la scelta di affibbiare a Chabot la professione di ginecologo non sia ricercata con meticolosa precisione, quasi perversa.
Può, un uomo debole, sentirsi autorizzato, avendo contribuito a dare la vita, ad infliggere la morte?
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