Il più grande romanziere di tutti, il più vero romanziere che abbiamo in letteratura
Passi rimbombano nella nebbia. Un canale navigabile e una banchina si perdono nel nulla. Un filare di pioppi si intravede e il suono di qualche chiatta si sente in lontananza. Scorgiamo l’insegna di una locanda, entrando il fumo ci avvolge ed è difficile distinguere i volti degli uomini che bevono, discutono o giocano a carte. Uno di loro è seduto in disparte, con un bicchiere di cognac sul tavolino quasi terminato e una pipa accesa. Scrive continuamente su un quaderno a spirale, non ha neppure tolto l’impermeabile nell’impeto delle idee, nell’impellenza di fermarle sulla carta.
Ecco, così abbiamo creato l’immagine di uno scrittore, così immaginiamo Simenon. Ne mescoliamo i tratti con il suo protagonista più celebre, Maigret, che del resto aveva ereditato qualche elemento caratteriale dal padre. Ci piace questo fascino francese, un po’ bohémienne e tanto Quai des Orfèvres.
Francese? No, belga! Come il celebre Poirot di Agatha Christie, anche Simenon avrà dovuto spesso correggere le citazioni sulla sua nazionalità.
La mattina dopo pioveva ancora; una pioggia flebile, triste, rassegnata come una vedova. Non la si vedeva cadere; non la si avvertiva, eppure avvolgeva ogni cosa in una coltre fredda, e sulla Senna formava una quantità infinita di piccoli cerchi palpitanti.
Certamente saranno stati i fumosi bistrot parigini a ispirarlo, ma molte delle sue opere sono state scritte fuori dalla Francia, negli Stati Uniti – dove si trasferisce dal 1944 al 1955 e dà vita anche ad alcuni romanzi “americani”, western interiori come Il ranch della giumenta perduta o a Losanna, amata cittadina svizzera sul lago di Ginevra dove finirà i suoi giorni nel settembre 1989.
La Parigi di Simenon non è più esattamente la Ville lumière di inizio secolo, è una città spesso fredda e piovosa, con primavere che non arrivano mai, fatta di boulevards, di faubourgs, di sordide pensioni a Pigalle e di stazioni dai nomi ormai familiari: Gare du Nord, Gare de l’Est, Gare de Lyon, Gare Montparnasse dove arrivano i treni che viaggiano nelle pagine dei suoi romanzi, talvolta trascinando il lettore in quella provincia altrettanto gelida, nebbiosa e grigia, da Bayeux a Bergerac. Non la calda Provenza ma il freddo Nord, dove farà ritirare in pensione anche il suo Maigret, in una casetta di campagna a Meung-sur-Loire.
Improvvisamente, tra due stazioncine anonime di cui nel buio non vide quasi nulla - solo fili di pioggia alla luce di un lampione e sagome che spingevano carrelli -, Maigret si chiede perché mai fosse lì.
Un autore estremamente prolifico, notoriamente uno scrittore di getto, ma la rapidità creativa ha un prezzo psicologico e fisico. Essere “in trance”, governati dallo sforzo inventivo, determina un consumo di energie intellettuali e non solo. I libri di Simenon sono generalmente brevi (in una continua gara con sé stesso arriva a scriverli in 7 giorni), frutto di questa vena creativa irrefrenabile ma anche bulimica. Come bulimico fu nelle relazioni sentimentali. Sulla sua vita privata è stato detto molto e non sempre in termini positivi. Momento culmine di questo ritratto negativo della personalità di Simenon è il suicidio della figlia.
Il suo impetuoso lavoro ha generato più di 450 opere di narrativa (75 le inchieste del commissario Maigret) con oltre 117 romanzi di altro genere, 180 romanzi scritti con 37 pseudonimi prima di diventare il mitico Simenon, e infiniti articoli. Tradotti in circa 70 lingue e in oltre 40 Paesi si conta che i suoi libri abbiano venduto più di 700 milioni di copie e dato vita a moltissime versioni cinematografiche (60 solo le più importanti).
Simenon amava, benché negasse, questa immagine di sé eccezionale, fuori dalla norma nella professione e nel privato. Se no, non avrebbe tanto insistito sulle diecimila e più donne possedute. Il più illustre dei suoi estimatori, nonché suo affezionato amico André Gide, si estasiava all'idea di tanto grandi prodezze - letterarie e non - e diceva di lui «il mistero Simenon».
«Maigret aveva un modo tutto suo di salire i due piani del Quai des Orfèvres: con aria indifferente all’inizio della scalinata, là dove la luce dell’esterno arrivava più forte, poi con atteggiamento sempre più grave via via che si addentrava nella penombra del vecchio palazzo, come se con la vicinanza le noie del lavoro gli calassero addosso. Quando passava davanti all’uscere era già “il capo”.»
Il personaggio di Maigret esordisce nel 1929 con il romanzo Pietr il lettone e va in pensione nel 1972 con Maigret e il signor Charles e ha rappresentato la sua scrittura più popolare, quella del successo, ma sono gli altri romanzi i più amati dall’autore.
Maigret lavora a Parigi e il Quai des Orfèvres è il suo quartier generale. Qui è circondato da collaboratori storici come Torrance (“Torrance il ciccione, Torrance il fracassone”), Janvier (“il giovane Janvier”), e Lucas (che prenderà il posto di Maigret dopo il pensionamento). Il Commissario ha con loro un rapporto che è un misto di autorità e di affetto, di stima ma anche, a volte, di stizza, in questo uno specchio del carattere del suo autore.
Quando decide di abbandonare il commissario Maigret, Simenon gli rivolge un addio ufficiale «un po' commosso». Dopo quarant'anni di assidua collaborazione sentiva qualche rimorso, «come di chi lasciasse un amico senza stringergli la mano».
Ma a chi lo intervistava soleva dire che i romanzi di Maigret erano una specie di vacanza dal lavoro vero, quello cioè di tutti gli altri libri, i “romanzi-romanzi”. Sono quelli che ci hanno fatto scoprire – in Italia anche grazie alla completa edizione curata da Adelphi – un autore molto più cerebrale, dolente, narratore del disagio esistenziale, dell’ossessione, dell’incomunicabilità. Opere che hanno per protagonisti personaggi tutt’altro che simpatici, con cui è impossibile un’identificazione, con tali caratteristiche di negatività da vederli più adatti a rappresentare gli antagonisti, piuttosto che gli “eroi positivi”. Attraverso il tratteggio di queste figure Simenon meglio esprime la sua dolorosa visione della vita, di un mondo in cui nessuno si salva, che vede gli uomini muoversi su di una scala morale sempre diretta verso il basso. Romanzi di sicura attualità, capaci di turbare anche il lettore del terzo millennio.
Pubblico e critica suoi contemporanei (e gli amici intellettuali come Gide), trovano però "più scrittore" Simenon quando c'è il commissario. Con poche eccezioni. Una, certa, è quella di Alberto Savinio, con Massimo Bontempelli fra i primi a leggerlo in Italia, che nel 1936 scriveva:
Il Simenon più propriamente poliziesco, ossia il Simenon della serie Maigret, è quello che interessa meno... Quello che stonava, quello che seccava nella serie dei polizieschi di Simenon, era l'ostinata bonomia del commissario Maigret, il suo fare da papà a tutti, la sua sete di perdonare, di dimenticare... apostolismo in bombetta
Ma non erano di questo parere (e forse non lo sono nemmeno oggi) i milioni di lettori sparsi per il mondo e «a malincuore – come ha scritto Nico Orengo –, senza ammetterlo, forse non lo era lo stesso Simenon».
Simenon raccontava di aver incontrato Maigret all’improvviso, fulminazione e ispirazione a prima vista, come un'apparizione, immediatamente riuscito e completo, una specie di prodigio. Non così aveva ricostruito i fatti Francis Lacassin nella sua biografia molto speciale del commissario: La vraie naissance de Maigret (Ed. du Rocher e in Italia Medusa edizioni). Il romanziere andò per tentativi, inventò prima altri 18 investigatori molto diversi fra loro per arrivare a piccoli passi verso Maigret.
Il mito dello scrittore geniale e d’impeto però piaceva troppo a Simenon per non cavalcarlo in ogni aspetto della sua esistenza.
Come ricordava Gabriella Bosco dieci anni fa in un articolo per La Stampa, Simenon aveva visto e rivisto decine di volte L'uomo che uccise Liberty Valance di John Ford film amatissimo, e ne citava spesso una battuta: «Se bisogna scegliere tra la verità e la leggenda, scegliamo la leggenda!».
«Bastava aspettare, e la verità veniva sempre a galla. Chissà se sarebbe successo anche stavolta…»
Ecco un menu che arriva direttamente dai romanzi di Maigret. Dall’antipasto al dolce per portare a tavola i gusti di Simenon, che certamente conosceva e apprezzava queste ricette. Sappiamo quanto il connubio cucina-gialli abbia portato successo a tanti altri autori, ma certamente troviamo in lui un vero antesignano. Si tratta del menu della cena offerta al figlio John a Torino al Ristorante Carignano in occasione dell’incontro con i lettori per il ventennale della morte del padre.
Il figlio John Simenon racconta come è stata la sua vita a fianco dell’autore di Maigret (ascolta qui l'intervista).
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