Un uomo estremamente meticoloso, ma non violento, ordisce un piano geniale per svaligiare la Zecca spagnola. Per procedere, raccoglie un gruppo eterogeneo di soggetti, tutti in grado di fornire una qualche specifica capacità, quindi procede con la strategia ideata, gestendo il tutto in remoto.
La serie TV più importante – sin qui – nella storia della televisione spagnola (poi avocata a sé da Netflix), ha avuto un percorso condizionato dal successo incredibile riscontrato grazie soprattutto alla parte iniziale, un vero caso mediatico. Dall’essere immaginata come una stagione unica, è stata in qualche modo allungata fino a tre, la cui ultima è in effetti un corpo a sé stante, gonfiata, estesa e allargata dalle esigenze esatte dallo show business che ne ha intuito velocemente la presa sul pubblico.
E con merito, poiché la prima stagione è un congegno a orologeria praticamente perfetto. Il ritmo è serrato, i personaggi sono tutti azzeccati, la capacità di creare imprevisti e la loro medesima soluzione non dà modo di sganciarsi dalla visione e trascina nel vortice degli eventi, senza contare la furbizia del suo ideatore, Álex Pina, che ha finito col tratteggiare i principali criminali come figure fondamentalmente accattivanti, là dove la polizia invece risulta invece odiosa e boriosa.
Non a caso, l’esponente più rispettabile della polizia stessa finisce addirittura col cambiare casacca (ed è la forzatura meno condivisibile del plot, benché perdonabile nella progressione della tensione e della costante ricerca del colpo di scena).
I personaggi, dunque, finiscono col restare impressi, a partire dal Professore – un Álvaro Morte (nomina sunt consequentia rerum?) fino a quel momento non particolarmente noto – e la sua montatura Persol, i suoi gesti reiterati (quel pugno esibito durante le spiegazioni, col pollice in evidenza) e la rapida capacità di pensiero. Per andare avanti con tutti gli altri, identificati con nomi di città non spagnole, dalla Tokyo di Úrsula Corberó alla Nairobi di Alba Flores, dal Rio di Miguel Herrán al Berlino di Pedro Alonso, dal Denver di Jaime Lorente all’Helsinki di Darko Petrić, per finire con due personaggi esterni alla banda ma cruciali, ovvero la poliziotta Raquel (Itziar Ituño) e il viscido direttore della Zecca, Arturo (Enrique Arce).
Purtroppo, come spesso capita, la necessità di distendere la storia come l’impasto di una pizza (che grassa vacca da mungere, la storia della banda che si nasconde dietro maschere rappresentanti Salvador Dalí!), non ha giovato alla saga, nonostante l’iniezione notevole di fondi da parte del colosso americano, facendo sì che motivazioni e verosimiglianza cedessero il passo a esagerazione e sensazionalismo.
In sostanza: se la prima rapina, conchiusa in se stessa, è una delle vette assolute delle serie TV di tutti i tempi, lo sfruttamento opportunistico dei caratteri sviluppati alla lunga mostra la corda e fa rimpiangere la freschezza travolgente degli inizi.
Di
| Magazzini Salani, 2020Di
| Edizioni Estemporanee, 2019Ti potrebbero interessare
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