L'amore rende ciechi, Benjamin, l'amore deve rendere ciechi! Ha la propria luce. Abbagliante. L'amore familiare come gli altri
La lettura di un libro di Pennac è quasi una droga. Non è possibile interromperla, si deve arrivare all'ultima pagina ma, alla fine, resta la nostalgia di aver già concluso il libro, di dover salutare un amico caro fino a un prossimo, già atteso, incontro. E quest'ultima prova del sapiente professore parigino, La passione secondo Thérèse, è assolutamente all'altezza delle precedenti.
Thérèse, la profetessa di casa Malaussène, si è innamorata, e non di un uomo qualunque, ma di un aristocratico dell'alta finanza parigina. Ma a Benjamin qualcosa, di questa relazione così bizzarra, non torna, e quel che scoprirà non farà felice la sorella.
Prima di tutto ritroviamo l'intera famiglia Malaussène già nelle pagine iniziali del romanzo: ognuno caratterizzato da un gesto, familiare al lettore, da un tratto fisico, da un particolare che ne connota la personalità. E subito entriamo nella vicenda: Thérèse, la virginale e rigida Thérèse, è innamorata e vuole sposarsi. Benjamin, il fratello maggiore, un po' il padre di tutta la tribù, non trova concepibile questo evento, e fatica molto ad accettare di conoscere il futuro cognato. Quando poi viene costretto ad incontrarlo il suo giudizio, già fortemente prevenuto, diventa assolutamente negativo.
Tenta ogni espediente, lecito e illecito, sotterfugi e imbrogli che gli creano spaventosi sensi di colpa, per convincere la sorellina-maga a non sposare quell'indescrivibile prodotto dell'aristocrazia degli affari parigina. A nulla servono le indagini che gettano sospetti sulla famiglia altolocata del futuro sposo, inutili le profezie che (inconsapevolmente) la stessa Thérèse formula partendo dai segni astrali suoi e del suo innamorato, inutili le pressioni e i ricatti morali a cui Benjamin sottopone la sorella: le nozze ci saranno, e saranno un vero spettacolo pubblico. Marie-Colbert de Roberval, questo è il nome dell'amato, appare come una specie di benefattore dell'umanità, desiderando riscattare la famiglia e in particolare il fratello suicida da accuse infamanti.
Così il matrimonio andrà in onda in televisione, gli introiti della trasmissione saranno devoluti in beneficenza, ospiti delle nozze saranno i derelitti soccorsi dalla nuova, generosa coppia di sposi. Tutto ciò però non prevede la presenza dell'intera tribù Malaussène, che vedrà da casa le riprese del matrimonio: questione di buon gusto, dice Marie-Colbert. Preparativi febbrili, evento fatidico e viaggio di nozze a Zurigo, strana e un po' sospetta meta per una luna di miele. Ma dopo un solo giorno ecco rientrare, silenziosa e cupa, nella caotica casa d'origine, proprio la sposa che, non essendo più vergine (così come vuole la tradizione della magia) ha perso le doti di preveggenza. Da questo momento il romanzo è un vero fuoco d'artificio di situazioni: morti violente, esplosioni, indagini, tutta Belleville in totale agitazione, la famiglia Malaussène completamente sconvolta da morti e resurrezioni...
I capitoli conclusivi vedono lo scioglimento dell'enigma e tutto si ricompone con una nuova nascita, come sempre avviene nei romanzi di Pennac, una bambina dagli occhi vigili sin dalla sua prima apparizione in questo mondo, occhi che si posano su Benjamin, adottato subito come padre, vero capro espiatorio di tutta la tribù, della sua editrice, della intera e varia umanità di Belleville.
Il pregio di Daniel Pennac è proprio questa capacità di costruire trame coinvolgenti e di animarle di personaggi atipici, antieroi moderni, poveracci qualsiasi di ogni periferia metropolitana, intellettuali senza soldi e bambini, tanti, tanti bambini. La virtù dell'autore è quella di amare le sue creature e di farle amare al lettore, di renderle figure amiche a cui si perdonano debolezze e comportamenti illeciti. L'abilità dello scrittore è il saper tenere il racconto in continua tensione, dando credibilità a evoluzioni talvolta improbabili della vicenda, che rientrano nella logica solo se inserite nel quadro generale e nell'ambiente in cui maturano.
La fortuna di questo romanziere è il suo essere schivo, il non voler diventare personaggio da spettacolo, affidando ai lettori e solo a loro, e non al meccanismo pubblicitario, il suo straordinario successo.
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