Fran Lebowitz è un personaggio che la gran parte di ha imparato a conoscere grazie alla docuserie firmata Scorsese in onda su Netflix. A New York è una di quelle icone che vengono identificate con la città stessa, un po’ come Woody Allen o la Statua della Libertà. Una figura fondamentale della cultura americana contemporanea.
Fran Lebowitz è senza dubbio la voce umoristica più sferzante d'America. Ha un'opinione su qualsiasi argomento e non si fa pregare per esternarla. La sua grande amica Toni Morrison diceva: "Ha sempre ragione perché non è mai imparziale." È arguta, crudele, pungente, se colpisce è per affondare.
La vita è qualcosa da fare quando non si riesce a dormire ci permette di scoprire un’autrice ironica, corrosiva e chirurgica che ha la capacità di guardare le cose sotto un punto di vista spiazzante quanto ineccepibile. Una di quelle voci che ti fanno dire: «Come ho fatto a non pensarci prima?»
«Ho sempre ragione perché non sono mai imparziale», diceva alla sua amica Toni Morrison. Una logica arguta e inconfutabile, la sua, sia che si parli di politica, di vestiti, di arredamento o di attraversamenti pedonali. Disapprova praticamente tutto. E il suo innato umorismo appare una forma di sopravvivenza alla convivenza con il prossimo.
Amo dormire: è tanto piacevole quanto sicuro. Piacevole perché garantisce la miglior compagnia possibile e sicuro perché rappresenta la più efficace protezione dall’indecenza, invariabile conseguenza dell’essere svegli. Quello che ignori non può farti male
Ma se la scocciatura di condividere la sua New York con altri esseri umani sembra essere il principale dei suoi argomenti, in realtà il suo punto di vista originale e brutalmente onesto analizza i comportamenti delle persone più in generale, ci racconta l’assurdità del mondo di oggi.
Parlando degli “altri”, parla anche di noi, rivelando aspetti inattesi eppure innegabilmente veri. Non se ne può non ammirare la franchezza e l’impavidità. Talvolta dice cose audaci, che la gran parte di noi si vergogna di pensare.
Ma c’è anche un altro aspetto a colpire.
Tra le righe, Fran Lebowitz mette in discussione l’idea stessa di scrittura. All’etichetta di umorista (di cui padroneggia abilmente i ferri del mestiere), preferisce la definizione di scrittrice, nonostante non scriva un libro da quarant’anni. Così facendo ci pone l’interrogativo: cosa deve scrivere uno scrittore per poter essere definito tale? La risposta è semplice: tutto. E Lebowitz lo dimostra proponendoci le formule e gli argomenti più impensati: da assurdi test psicoattitudinali alle recensioni sui ristoranti, dai consigli per sposare un milionario alle guide per genitori.
…decisi di fare la scrittrice, perché, suppongo, mi sembrò la cosa più vicina all’essere Dio. Non ho mai voluto fare nient’altro. Be’, se leggere fosse stato un mestiere avrei scelto quello, perché amo leggere e non scrivere. Sarebbe stato fantastico, perfetto
Come scrive in una nota il traduttore e curatore Giulio D’Antona: «Nei testi di Fran Lebovitz nulla è lasciato al caso: ogni riferimento culturale, la scelta dei termini e la costruzione grammaticale sono studiati al millimetro per restituire un bilanciamento perfetto tra raffinatezza e ironia».
Nelle due interviste in coda al libro (una datata 1993 per il Paris Review, l’altra più recente fatta in esclusiva proprio da D’Antona) scopriamo inoltre un’intellettuale profonda capace di una lettura del mondo fuori dal coro, ma rivelatrice.
Uno dei problemi di oggi è che le persone non riconoscono la differenza tra opinione e linea politica. Le opinioni possono essere interessanti e possono essere forme di intrattenimento – io per prima ne sono piena! – ma non sono da confondere con la politica. Penso che il problema principale che la gente non vuole affrontare sia che la politica è una cosa molto difficile
Il risultato per me è stato il medesimo per tutto il tempo di lettura: sotto al naso infilato tra le pagine un sorriso continuo inframezzato da improvvisi sussulti divertiti e repentine illuminazioni.
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