Tra inquirenti, ispettori e questori che ci fanno amare il giallo italiano, ha fatto il suo ingresso da qualche tempo un altro protagonista: il commissario Arcadipane, che prosegue sul sentiero tracciato dal suo ex capo, mentore e amico Corso Bramard, in un noir che va indubbiamente molto oltre i limiti, i confini del romanzo di genere.
Torino quando piove resta la città che è, solo bagnata: i normali tempi tecnici perché il monossido precipiti, glassando il lastricato, e le pietre degli edifici ritrovano per qualche ora l’aria tersa delle montagne da cui provengono. È sempre bello vedere qualcosa che torna a casa. Qualunque cosa.
Torino, all’alba. Il commissario Arcadipane viene svegliato: un caso delicato e misterioso lo coinvolge, deve recarsi in una vallata cuneese per saperne di più.
Isolato in un borgo sperduto, ecco il morto, strangolato: Terenzio Fuci, ottantasette anni, residente in via del Babuino a Roma, titolare della casa di produzione cinematografica Veronica Film, fratello del politico Amilcare Fuci, eminenza grigia della Democrazia cristiana fino alla morte nel 1988. La moglie, che era con lui quando è arrivato in paese, è scomparsa. È Vera Ladich, celebre ex attrice non più giovanissima, ribattezzata da Godard Mademoiselle le look. Rapita, ferita o persa nei boschi?
Perché erano lì? Perché avevano prenotato l’intero piccolo albergo del paese per non avere nessuno intorno? Pian piano si costruisce il quadro: Clot era il luogo d’origine di Vera Ladich (all’anagrafe Anna Mattalia anzi no, all’anagrafe proprio Vera Ladrich perché col vecchio nome non voleva più avere nulla a che fare), il paese dove aveva conosciuto Fuci. Ma le scomparse non terminano qui e quando si scopre che di un’altra donna coetanea della Ladich, anch’essa di Clot, si sono prese le tracce…
Tra i silenzi di un paese incastonato nelle montagne del Piemonte e la chiassosa Roma del cinema e della politica, il mistero di una donna che per molti è stata una musa, un sogno, un rimorso. Un nuovo caso per Vincenzo Arcadipane e Corso Bramard.
Come nelle migliori tradizioni Longo tratteggia in modo approfondito la personalità e descrive la vita privata di Arcadipane, facendogli ruotare attorno un gruppo di co-primari dipinti con elementi distintivi di carattere, comportamento, ironia (o mancanza della stessa). Per risolvere l’intricata vicenda deve chiedere il prezioso aiuto del suo vecchio amico, Corso Bramard - anziano e anche ammalato, da tanto, tanto tempo non più un commissario, ma sempre lucidissimo quando si parla di indagini -, e della collega Isa Mancini, energia allo stato puro.
Avevamo scoperto le qualità di autore di Davide Longo nel 2004 con Il mangiatore di Pietre (marcos y marcos) un romanzo di confine, un romanzo che odora di Piemonte, di quelle terre montane dure, aspre, difficili, a volte ostili e di quella gente abituata a essere sempre “in prima linea”, la linea di un confine che non si vede ma si sente nell’animo. Era già un noir che andava indubbiamente molto oltre le mappe disegnate del romanzo di genere. C’è ancora un po’ di questa durezza nelle pagine di questo giallo. La montagna dentro è anima e non può scomparire del tutto, ma qui l’orizzonte si allarga: c’è Torino dove vive Arcadipane e dove ha affetti e ricordi, e poi c’è Roma, così antitetica rispetto al paesino arroccato dove tutto ha inizio.
I confini del romanzo di genere sono ampiamente superati, il piacere della lettura è a tutto tondo.
«-Vera Ladich qui non è mai esistita. Può scriverlo nel verbale o dove vuole.
- E Anna Mattalia invece?
- È morta cinquant’anni fa quando è salita su quella macchina per Roma.»
La serie Bramard-Arcadipane è nata nel 2014 con Il caso Bramard (Feltrinelli), proseguita nel 2018 con Così giocano le bestie giovani (ancora Feltrinelli). Questi titoli sono stati riediti da Einaudi, che continua con la pubblicazione dei nuovi romanzi, Una rabbia semplice (2021).
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