La mia fantasia ricorrente è che alla Carta dei Diritti dell’Uomo venga aggiunta la voce: diritto all’immaginazione. Ormai mi sono convinta che la vera democrazia non può esistere senza la libertà di immaginazione e il diritto di usufruire liberamente delle opere di fantasia
L’immaginazione come via di fuga da una realtà troppo opprimente, verrebbe da pensare in un primo momento in riferimento all’Iran degli Ayatollah. Non la pensa così Azar Nafisi. Le opere d’immaginazione e di fantasia rappresentano per la scrittrice iraniana uno strumento prezioso attraverso cui affrontare e confrontarsi con un mondo alla deriva, completamente trasfigurato dalla Rivoluzione Islamica. Una realtà sottratta al suo popolo dai pregiudizi e dalla violenza di un regime che ha inghiottito persino l’individualità e ha irrimediabilmente trasformato la vita di un paese avanzato e culturalmente vivace in un surrogato di divieti, inibizioni e paure.
Nei due decenni successivi alla rivoluzione di Khomeini a Teheran, Azar Nafisi ha dovuto cimentarsi in un'impresa fra le più ardue, e cioè spiegare a ragazzi e ragazze esposti in misura crescente alla catechesi islamica una delle più temibili incarnazioni dell'Occidente: la sua letteratura.
Ciò che cerchiamo nella letteratura non è la realtà, ma un’epifania della verità
È per questo che la professoressa Nafisi decide di abbandonare l’insegnamento universitario e di tenere un seminario a casa sua, con sette studentesse appassionate di letteratura.
Nabokov, Fitzgerald, Henry James e Jane Austen: attraverso le opere di questi grandi scrittori “occidentali” l’autrice cerca di ritrovare il suo mondo sequestrato e nello stesso tempo di penetrare nei meccanismi della rivoluzione e di impadronirsi di quella furia che ha sconvolto l’Iran, il suo amato paese.
Non è con l’isolamento o con il rifiuto che si può tenere testa a un regime totalitario e sanguinario, ma al contrario è necessario sfidarlo apertamente e guardarlo dritto negli occhi: è la prima grande lezione che Nafisi apprende dalla lettura dei suoi libri.
Simbolo di questa ricerca ossessionante e vitale è il romanzo di Nabokov: Lolita rappresenta una sorta di metafora della Repubblica Islamica. Imponendo i propri sogni e trasformando l’intero popolo iraniano in un incubo abortito dalla loro fantasia, gli Ayatollah hanno compiuto esattamente ciò che Humbert ha messo in atto con Lolita, privandola della sua libertà e plagiandone l’esistenza a suo piacimento. In entrambi i casi alle vittime viene confiscato il diritto stesso alla vita, mentre il progetto di una mente malata riesce ad avere il sopravvento.
Il viaggio letterario realizzato da Azar Nafisi si rivela un’opzione estetica coraggiosa e rivoluzionaria. L’autrice crea un raffinato gioco di specchi, nel quale da ogni libro-tappa si sprigiona una dimensione parallela capace di sovrapporsi e manipolare una realtà a sua volta fittizia, quella dell’evoluzione-involuzione della vita in Iran
È Gatsby, il personaggio principale di Fitzgerald, a rivendicare l’importanza del sogno e insieme a diffidarne: non è infatti rifugiandosi nel mito di un Occidente ideale che si può trovare riparo di fronte all’incubo del regime islamico. E ancora, l’ambiguità di Henry James e il problema della scelta e del rapporto con l’altro in Jane Austen sono un invito a contrastare il tentativo del potere di appiattire la società riducendola a un monotono scacchiere in bianco e nero: la letteratura è anarchia e ribellione dall’interno, e solo attraverso lo specchio dell’immaginazione l’uomo può preservarsi da una forzata metamorfosi monocromatica.
Leggere e discutere di romanzi proibiti, perché simbolo della decadenza occidentale, a Teheran non è un semplice gesto di insubordinazione o di protesta, ma rappresenta piuttosto il riscatto della letteratura come strumento di emancipazione. Perché attraverso la parola è possibile penetrare nello sguardo di quel “terribile altro”, capace di insinuarsi in ogni ambito della vita quotidiana, e andare oltre, esorcizzandone il potere divoratore. E sempre attraverso i libri Azar Nafisi insegna alle sue ragazze a trascendere i limiti severi imposti dal mondo circostante per riappropriarsi di se stesse e della propria intima libertà.
Leggere Lolita a Teheran è dunque una risposta a qualsiasi regime totalitario e un inno al potere salvifico dei libri e della letteratura: tanto più infatti viene sottratta all’uomo la possibilità di sognare, tanto più forte diviene l’immaginazione e tanto più potere acquista la fantasia nel modificare una realtà intollerabile. L’individualità dell’uomo è irriducibile: la Repubblica Islamica dell’Iran ha privato i suoi cittadini della libertà essenziale, la possibilità cioè per ognuno di realizzare se stesso. Eppure le parole e i pensieri impressi per sempre nei libri creano tra gli uomini un legame inestinguibile: solo attingendo a questo tesoro prezioso è possibile trovare le risposte e la forza per sopravvivere e reagire.
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