Licorice pizza di Paul Thomas Anderson

Un teenager intraprendente si innamora di una ragazza più grande di lui e tenta di conquistarla.

Facciamo che lo scrivo subito: l’essere riusciti a non dare premi a questo film durante un’edizione povera, squallida e minore come (anche) quella degli Oscar 2022 è stato un premeditato crimine artistico.

Anderson è cantore di un mondo bigger than life, è l’aedo di personaggi volubili e vivissimi, è lo stornellatore di situazioni nate per piantarsi nella testa. Il rapporto di coppia sui generis narrato è effettivamente come una pizza alla liquirizia (benché in gergo “licorice pizza” identifichi i vinili LP): mette insieme due soggetti opposti e impossibili, forse, da conciliare. Lui, Cooper Hoffman, straordinario talento degno erede del padre Philip Seymour, lei, Alan Haim, una scoperta sorprendente.

P. T. Anderson e Richard Linklater sono i registi generazionali più romantici in circolazione. Questo film li unisce ulteriormente e – se si aggiunge l’ultimo Tarantino – emerge un trittico fenomenale che copre una dozzina di anni della storia recente americana e che va assolutamente gustato e rigustato (Italia, ti prego, ammira e copia, piantandola con le commedie per gli idioti inconsapevoli e i drammi al cui termine una chiodata in una gamba risulta un sollievo!): fine anni Sessanta con C’era una volta Hollywood (QT), inizio/metà anni Settanta con Licorice Pizza (PTA) e infine inizio anni Ottanta con Tutti vogliono qualcosa (RL).

Un terno pazzesco da giocare sulla ruota del mito della California.

Anderson si diverte (sempre) da morire. Scrive benissimo, gira benissimo, dirige benissimo. Homo faber di stampo cine-umanista, si regala pure una direzione della fotografia (in coabitazione con Michael Bauman) che sposta gli spettatori di peso – grazie a un lavoro scenografico, di oggettistica e di costumi veramente portentoso – nel 1973. Su questo, ovviamente, si innesta una colonna sonora d’epoca che non può che travolgere, mentre il fido ex Radiohead Jonny Greenwood si occupa dei raccordi.

Il protagonista è cicciottello, la protagonista bruttarella, la vita è straordinariamente bella. Ed è tale perché le strampalate vicissitudini messe in scena finiscono col trascinare a bordo, insieme a una serie di incisi deliziosi (il ruolo destinato a Bradley Cooper è da annali, si divertono come matti anche Sean Penn e Tom Waits, mentre c’è spazio anche per John C. Reilly e Benny Safdie, già splendida promessa dietro la macchina da presa col fratello Josh). Curiosità: la famiglia ebrea di Alana è la sua vera, incluse le sorelle con cui da anni canta.

In sostanza: lungometraggio per certi versi caotico e che procede a strappi – come se due colpi di mannaia avessero scelto le parti salienti di pochi mesi della vita dei due protagonisti, eliminando il resto – ha una tale ricchezza di idee che la recente Hollywood avrebbe potuto sfruttare in venti film, da cui generare venti prequel, quaranta sequel e sessanta reboot. Delicatezza, spensieratezza, follia, romanticismo, allegria, coraggio: ecco il Cinema con la C maiuscola. Ci si innamora del duetto, si corre per mezzo film, si tifa per un maledetto bacio, ci si rende conto che l’assurdità del quotidiano, se vissuto con incosciente leggerezza, diventa epica.

Ah, P. T. Anderson...