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Nessuna ragione al mondo di Alessio Cuffaro

Mia nonna, da ragazza, lavorò in una fabbrica di giocattoli, mio nonno per un certo periodo in un negozio di stoffe. Me lo raccontarono loro quando c’erano ancora, ero un bambino e nei miei ricordi non ci sono altri dettagli in merito. Qualche volta provo a immaginarmeli al lavoro, prendendo da vecchie fotografie in bianco e nero i volti dei miei nonni da giovani e contestualizzandoli in quello che suppongo possa essere stato il loro ambiente di lavoro, e provo una strana tenerezza. Mandiamo avanti veloce il nastro, e arriviamo ai miei primi appuntamenti. Le strategie di seduzione potevano cambiare, ma una domanda prima o poi da parte di lei o da parte mia, davanti a quel caffè, usciva sempre: che cosa fai di lavoro?

In una ipotetica biblioteca sul tema dell’identità – ma in fondo quale libro non parla di questo? – molti scaffali sarebbero dedicati a testi che confermano e analizzano come, sicuramente nel mondo occidentale, il lavoro che facciamo ci definisca agli occhi degli altri, prima ancora dei gusti o delle passioni. E così, quando quella ragazza mi diceva che faceva l’insegnante, la commessa, la musicista, oppure quando io raccontavo che facevo il libraio, segretamente da qualche parte laggiù nel profondo, certo in buona fede, iniziavano a muoversi preconcetti e aspettative. Poi, c’era il tempo in cui ci si sarebbe conosciuti davvero: ma vorrei fare (oppure “avrei voluto fare”, in età più tarda) la fotografa, lo scrittore, la giornalista, l’astronauta. E così ci si mostrava più o meno timidamente su quel confine sfumato tra ciò che si è e ciò che si vorrebbe essere, si esponeva allo sguardo dell’altro una fragilità: una speranza, un rimpianto.

Nessuna ragione al mondo
Nessuna ragione al mondo Di Alessio Cuffaro;

Quando Andrea vede in un servizio televisivo la notizia di un uomo scomparso, nella foto riconosce il migliore amico d'infanzia Sergio. Ma perché è sparito senza lasciare traccia? E, soprattutto, perché fino a quel momento ha usato un falso nome?

Nella storia ci sono personaggi che non hanno voluto fare questo passo, e hanno portato al parossismo la costruzione della propria identità. Li definiamo impostori, e non c’è alcun dubbio che lo siano stati. Ma, come tutto ciò che è estremo, ci restituisce un’immagine precisa del sistema di regole all’interno del quale ci muoviamo, così come il mostro è misura della nostra normalità. Rudy Kurniawan si spacciava per raffinato conoscitore di vini, e prima che lo smascherassero truffò centinaia di persone; Francisco Nicolás Gómez-Iglesias riuscì a far credere a molti membri dell’amministrazione e del governo spagnolo di essere un importante uomo d’affari con contatti con i servizi segreti; James Frey vendette milioni di copie con il racconto della sua esperienza in un centro di riabilitazione dalla tossicodipendenza nel Minnesota, ma in seguito si scoprì che aveva inventato di sana pianta molti fatti. E poi c’è Frank Abagnale, falsario da 2 milioni e mezzo di dollari e almeno otto identità fittizie. La lista potrebbe continuare.

Il lucro è certamente un polo gravitazionale attorno al quale ruotano queste rappresentazioni ingannevoli di sé agli altri. E chi almeno una volta nella vita non ha provato la tentazione di mentire oppure omettere un po’, per mandare avanti un’immagine di sé più attraente, anche semplicemente più funzionale alla propria autostima. Ma c’è dell’altro. Alessio Cuffaro, nel suo romanzo Nessuna ragione al mondo edito da Elliot, prende spunto dalla vicenda vera di un libraio di Torino, scomparso nel nulla, per muoversi nel territorio di chi si inventa una vita che non ha. Andrea riconosce Sergio, caro amico d’infanzia, in una foto di un servizio televisivo, ma il nome che ne viene dato pubblicamente non è quello che lui conosce. E da lì parte la ricerca delle ragioni per le quali un uomo, per un certo periodo della sua vita, decide di vivere sotto falso nome, tra le ambizioni folli della giovinezza e il cinismo disperato dell’età adulta.

Una caccia all’impostore, dunque. Ma, ancora di più: il desiderio, romantico e forse inconfessabile, che dietro a quella truffa non ci siano solo ragioni economiche. L’abito che abbiamo lasciato che la vita ci cucisse addosso troppo stretto, quei cinque minuti alla settimana in cui pensiamo che avremmo potuto essere altro, il sentimento di possibilità che da ragazzi si aveva, quando il futuro era vasto e sconosciuto e una lavagna pulita dove disegnare quello che si desiderava. Forse una battaglia già persa in partenza: poter cambiare tutto, tornare indietro, avere tutto il tempo del mondo. Dietro a ogni menzogna, non sempre ma chissà, c’è lo sgomento di fronte alla vastità della vita che vorremmo, ma che non riusciamo ad abbracciare tutta.

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