Mi chiamo William Funt,” disse l’uomo con voce grossa, impacciata. “Tre giorni fa sono andato a cacciare nel Nord con un mio amico, Theodore Farr... senza volerlo gli ho sparato addosso
Con questa confessione si apre il libro di Giorgio Scerbanenco, Nessuno è colpevole (La Nave di Teseo). La confessione di uomo vestito con un costume definito abbastanza strano per una città moderna come Boston, la confessione di un cacciatore che, per sbaglio, ha ucciso un amico. Noi lettori, spiazzati e un po’ storditi, sediamo al commissariato di polizia e ascoltiamo quello che ha da dirci. Ce ne stiamo buoni e in silenzio e lo lasciamo parlare di ciò che fatto, gesticolare e fornirci la sua versione dei fatti. Annuiamo di quando in quando per fargli capire che lo stiamo seguendo, ma capiamo subito che qualcosa non torna, che quell’omicidio non è stato commesso per sbaglio.
La nuova indagine dell'archivista della polizia di Boston Arthur Jelling è un caso apparentemente risolto. Un uomo è stato ucciso durante una partita di caccia con il suo migliore amico, che ha confessato il delitto.
La penna di Scerbanenco non ci lascia soli in queste intuizioni; con noi il detective Arthur Jelling, timido e riservato, ma capace di una sfrontatezza di cui lui stesso non si capacita durante le indagini. È l’unico in centrale a capire che niente è come sembra.
Jelling, mosso da un fiuto infallibile, indaga in una fitta nebbia di amori perduti, amicizie tradite e denaro. Armato soltanto del suo intuito e della capacità di indagare le persone e i loro atteggiamenti, camminerà per tutta Boston, facendo domande, insinuando, osservando. Jelling, come capiamo sin dall’inizio, non è il detective che si affida alle impronte digitali o ai misteriosi indizi dimenticati dall’assassino, Jelling è il detective delle persone.
Rimasticava fra sé un confuso pensiero che pressappoco si potrebbe tradurre così: per conoscere l’assassino, prima bisogna conoscere l’assassinato
E sull’assassinato Jelling scoprirà molte cose, così come sulla sua seconda moglie e sugli altri personaggi coinvolti, in un labirinto di rimpalli e informazioni all’apparenza inutili. Una chiacchierata dopo l’altra Jelling avrà chiaro il quadro generale, in una Boston fatta di avvocati senza scrupoli, commissari di polizia che non hanno l’intenzione di indagare, figlie che disprezzano i padri, amici onesti e disonesti. Capitolo dopo capitolo, noi siamo sempre con lui, fedeli Watson che pendono dalle sue labbra.
Siamo sballottati ad ogni svolta, ad ogni scoperta, in auto la notte e di giorno per il sentiero di montagna dove Ted Farr è stato ucciso e poi nel commissariato deserto, al lume di una lampada, dove seguiamo il filo dei pensieri di Jelling e infine in prigione dove detective e indagato si confrontano.
“Ho ucciso, io? E allora devono uccidermi. È giusto. Non voglio pagare meno di quello che ho comperato.”
“Sia calmo”, gli disse Jelling. “Lei pagherà giustamente per quello che ha comperato... È per questo che mi affatico tanto.”
Scerbanenco ha tratteggiato un mondo di luoghi e di persone in cui ci fa immergere poco a poco. Niente è come sembra e allo stesso tempo tutto è esattamente come appare, tutti hanno un movente e tutti un alibi in questo romanzo in cui nessuno sembra colpevole.
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