Quando a novembre del 2021 è uscito il settimo album di Marracash, Noi, Loro, Gli Altri, le reazioni del pubblico e della critica in media sono state molto positive, ma divise in due schieramenti: c'era chi diceva che il suo disco del 2019, Persona, era ineguagliabile, e chi invece eleggeva l'ultimo lavoro come un'evoluzione del precedente e dunque il miglior disco in assoluto del rapper classe 1979 cresciuto a Milano nella parte popolare del quartiere Barona.
Una nuova versione che include due brani inediti per uno degli album più acclamati e discussi del rapper milanese, in cui convergono innovazione e maturità.
Con calma, passato un anno, quasi a voler prendere le distanze dalla frenesia che circonda ogni uscita discografica (e dalla tendenza a dimenticarla in fretta), è uscita la versione Deluxe dell'album con l'aggiunta di un nuovo brano, Importante, e la versione dal vivo dei brani editi. Le differenze di sostanza, in pratica, sono poche, così alla fine si è portati a riconcentrarsi di nuovo sul disco, sulle 15 canzoni che contiene. Che questo effetto sia causato volontariamente o meno non importa, perché sembra comunque un invito saggio a dedicare più tempo all’ascolto della musica – a prescindere dal fatto che l’uscita di Noi, Loro, Gli Altri (Deluxe) avvenga in prossimità di Natale.
Gli ingredienti principali di questo disco sono i testi consapevoli di un rapper maturo, un’audace introspezione e un punto di vista critico sul presente (anche sul rap contemporaneo), un compromesso onesto con la melodia, la capacità di scrivere suggestivi storytelling, un riconoscimento al background che ha reso Marracash quello che è, in particolare al suo quartiere e alla gente che gli è stata vicino, e la presenza moderata e mirata di alcuni ospiti (Gué, Calcutta e Blanco). In quest’ultimo caso nella parte dal vivo si notano anche i contributi del tenore Vassily Solodkyy in Pagliaccio, brano che riprende la parte più nota di un’aria dell'opera Pagliacci di Ruggero Leoncavallo, e di Elisa in Niente canzoni d’amore, brano del 2016 in origine cantato con Federica Abbate.
Discorso a parte per il nuovo singolo, Importante, in cui su una produzione musicale costruita su un campionamento del brano L’importante è finire di Mina, il testo scorre tra melodia e rap e contiene un verso che stabilisce un confine tra Marracash e la maggioranza dei rapper italiani della scena contemporanea: «per me essere forti è potersi mostrare deboli». Nell’epoca dell’ostentazione ossessiva in rima di status symbol, conti in banca, “muscoli” e credibilità di strada, il suo rap in questo senso è alternativo, diverso e, anche nei passaggi in cui si ha l’impressione di avere a che fare con puri ego trip, c’è dell’altro. Per esempio quando in Loro sembra semplicemente autocelebrarsi, a un certo punto dice «per sapere chi non sono, prima lo sono stato», mentre in ∞ LOVE dice «Da Assago a Niguarda / Ah, la strada mi guarda / Ah, cat calling su di me / Eh, mi gridano "Marra!"», solo perché sta parlando, con una vena malinconica e riflessiva, degli affetti che si porta dietro da quando non era nessuno e girava per le strade di quartiere.
Non è un caso, insomma, che la sua musica coinvolga un paio di generazioni: la tensione di Marracash ad analizzare prima sé stesso e poi il mondo che lo circonda («Oggi che tutti lottiamo così tanto per difendere le nostre identità / Abbiamo perso di vista quella collettiva», dice in Cosplayer), e a farlo con il linguaggio del rap, rende i suoi dischi interpretabili su più livelli, a seconda dell’ascoltatore, ma comunque interessanti. Tanto che, riascoltandoli nel tempo, rilanciano le loro qualità.
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