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Poesie di Ada Negri

Ada Negri è forse la poetessa che più ha subìto nel corso degli anni un progressivo oscuramento e, per così dire, una “sfortuna” critica. L’antologia Poesie (Interno Poesia, a cura di Silvio Raffo), che è una riedizione ampliata e aggiornata del volume edito da Mondadori nel 2002, ha dunque il merito di riportare all’attenzione questa autrice, sulla quale gravano due nette “precomprensioni” – direbbe Heidegger –: una di natura politica, l’altra stilistica. Entrambe andrebbero contestualizzate nella robusta ondata di attenzione umanitaria a cavallo tra i due secoli (si pensi a uno scrittore come Charles Péguy, colpito dalla medesima sorte). Per ciò che concerne in particolare lo scoglio formale, è assai pertinente l’interrogazione di Raffo: «Ma perché ridurre Ada Negri, poetessa dalle intonazioni e tematiche molteplici e variegate, alla sola Negri di maniera?».

Nata a Lodi nel febbraio del 1870, la giovane Ada insegna sin dal 1889 alle scuole elementari di Motta Visconti. Nel ’92 è pubblicata da Treves la silloge d’esordio, Fatalità. L’anno prima Sofia Bisi Albin aveva elogiato i suoi versi in un articolo sul «Corriere della Sera». Nel ’96 è edito Tempeste, che si mantiene sulle stesse modulazioni di Fatalità: un «fremito» di socialismo «molto simile a quello di Pascoli e De Amicis», sottolinea Raffo. Calzante, a questo proposito, il finale dei verghiani Vinti:

E inutili siam noi!... – Chi ci ha gettato / sulla matrigna terra?... / Il sospiro del cor chi ci ha negato? / Chi ne opprime e ne atterra?... // Qual odio pesa su di noi?... Qual mano / ignota ci ha respinti?... / Perché il cieco destin ci grida: – Invano –? / Pietà!... Noi siamo i vinti

Con Maternità (1904), lodato da Benedetto Croce, un «lirismo sempre più possente» intride il soggetto poetico che fa mostra di un timbro larmoyant coniugato a un’intensa vaghezza carducciana. Ecco l’incipit del Sonetto d’inverno:

Cade la neve a falde larghe e piane / da ore e ore, senza mutamento. / Non una voce, non un fil di vento, / non echi a le casupole montane

Del ’10 è Dal profondo, opera in cui la quest esistenziale è più orientata ad assumere nuances di una vera e propria confessione in versi: stesso sentire, benché dislocato nella magnetica e solitaria ambientazione zurighese, per Esilio (1914), dove la «casa del silenzio» coincide metonimicamente con il «chiuso cuore». Il libro di Mara (1919) presenta invece una Negri rinnovata strutturalmente (un poemetto di quarantuno testi) e metricamente: si avverte l’influenza del frammentismo vociano, mescidata a un gusto dannunziano e, addirittura, futurista per l’esagerazione. Significativo il riferimento biblico al Libro di Ruth: Mara è così il nome dell’«amarezza» (tra i versi più belli ci sono quelli di Il colloquio: Quando ti avrò raggiunto sulla sponda del fiume di luce / e tu mi chiederai che ho fatto tant’anni senza di te, / io ti risponderò: “Ho continuato il colloquio").

Se I canti dell’isola (1925) si richiama al precedente con una maggiore capacità di sintesi, con Vespertina (1930) si tocca con mano un terso spirito religioso che vibra in calcarei endecasillabi.

Fammi uguale, Signore, a quelle foglie / moribonde, che vedo oggi nel sole / tremar dell’olmo sul più alto ramo. / Tremano, sì, ma non di pena: è tanto / limpido il sole, e dolce il distaccarsi / dal ramo per congiungersi alla terra

Nel ’36 è la volta di Il dono, forse il punto saliente dell’opera di Ada Negri, per la compiutezza espressiva, la vitalità della figura amica Delia («Or ti chiediamo: ove andò Delia, / Delia-respiro, Delia-anima, Delia / spirito ardente che alla propria fiamma / noi riscaldava?») e per la sincera ricerca di Dio “in negativo”, tanto da anticipare straordinariamente la caproniana Res amissa: «Il dono eccelso che di giorno in giorno / e d’anno in anno da te attesi, o vita / (e per esso, lo sai, mi fu dolcezza / anche il pianto), non venne: ancor non venne».

L’ultimo libro, Fons amoris, uscito postumo nel ’46, lascia intravedere la conclusione della lunga tensione a Dio: è una Negri ormai avvolta nella «sfera mistica», lì può contemplare la presenza divina nella sua interezza: 

[...] Non abbandonarmi / più. Fino a quando l’ultima mia notte / (fosse stanotte!) non discenda, colma / solo di Te dalle rugiade agli astri; / e me trasmuti in goccia di rugiada / per la tua sete, e in luce / d’astro per la tua gloria

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Ada Negri è stata una scrittrice italiana. Di umili origini, insegnante, riuscì a imporsi nell’ambiente letterario e presso il pubblico. Collaborò a numerosi quotidiani e riviste e, nel 1940, fu accolta nell’Accademia d’Italia. Esordì con poesie di forma tradizionale e di ispirazione umanitaria, socialista o femminista (Fatalità, 1892; Tempeste, 1894; Esilio, 1914); in seguito scrisse versi di gusto dannunziano e di tono quasi diaristico (Il libro di Mara, 1919; I canti dell’isola, 1924); infine compose liriche che esprimono, con voce più raccolta e dimessa, una concezione cristiana della vita (Vespertina, 1930; Il dono, 1936). Sfocate e declamatorie sono le opere in prosa (Le solitarie, 1917; Stella mattutina, 1921; Sorelle, 1929), la cui nota più significativa è data dall’evocazione di una fanciullezza dolorosa, dalla descrizione di umili interni e di umane solitudini. Nel 2020 Mondadori pubblica Poesie e prose.Fonte immagine: copertina del volume Poesie di Ada Negri, a cura di Silvio Raffo Interno Poesia Editore, 2023

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