Non sufficit orbis: il mondo non basta
Una delle prime cose che si vede aprendo il saggio di David Salomoni, Francis Drake, è una mappa. C’è rappresentato il globo, i cui mari sono attraversati da una linea nera, il percorso che Drake ha fatto per mare tra il 1577 e il 1580: un mondo che ci è familiare, nonostante al centro ci siano le Americhe – ragioni grafiche, perché la strada è marittima, non terrestre –, che riconosciamo, conosciamo, e su cui abbiamo viaggiato in lungo e in largo.
E sta qui, in questa mappa che per noi è tanto familiare, la prima ragione per cui questo saggio promette un’avventura delle più eccezionali. Perché Drake, e chiunque altro nel Cinquecento, non aveva idea che il mondo fosse fatto così, e quella linea nera che è il suo viaggio è, in realtà, uno dei primi tentativi per capirne la forma.
Alla fine del Cinquecento, i mari e le terre del Nuovo Mondo erano in mano all'immensa potenza spagnola. Solo un corsaro riuscì a sfidare le ricchezze e i cannoni di Filippo II: Francis Drake, il corsaro che fece il giro del mondo per andare a stanare i nemici dove si sentivano più sicuri, nell'Oceano Pacifico.
Siamo in uno dei periodi più affascinanti e al contempo più complessi della nostra storia. Cristoforo Colombo ha scoperto da poco che il mondo non è piccolo quanto credevano gli europei, e da lì è cominciata una corsa tra le grandi potenze per accaparrarsi una fetta delle ricchezze che le Americhe custodivano. Qui si inserisce la storia di Francis Drake, un corsaro ambizioso che vuole andare a stanare l’impero spagnolo – acerrimo nemico dell’Inghilterra – laddove questo si sente intoccabile: nell’Oceano Pacifico. Un’impresa titanica, con tanto di compiacimento della regina Elisabetta, che finanzia quest’impresa al limite della follia e che non vede le motivazioni personali (in ogni antieroe che parta per un’avventura ce n’è almeno una) che spingono Drake ad affrontarla.
Si stava facendo strada l’ipotesi che il mondo fosse caratterizzato da un intricato sistema di ampie distese d’acqua, gli oceani, alternati e messi in comunicazione da più o meno stretti corridoi navigabili
Al di là dell’evidente interesse storico che un saggio del genere riveste – sono moltissime le fonti da cui Salomoni attinge per restituirci un affresco completo del corsaro –, uno dei motori più forti che ci spinge ad andare avanti è l’abilità dell’autore a restituirci il senso dell’avventura. Quell’avventura oggi considerata di serie b, buona per i libri per bambini e per i bestseller, e che invece, cinque secoli fa, era la vita vera. Non di tutti, certo, ma di alcuni uomini disposti a restare in balia degli oceani per oltre tre anni pur di trovare ricchezza, fama e vendetta.
Francis Drake era uno di questi avventurieri, e il suo viaggio ci racconta la meraviglia che un uomo del XVI secolo doveva provare di fronte all’ignoto. Cosa ci resta, di quella meraviglia, non saprei dire, per questo leggere le pagine di un saggio come quello di Salomoni è così importante: non perché si possa recuperare quello stupore primordiale, dubito che sia possibile. Ma semmai perché leggere che una sensazione così totalizzante, spaventosa e irresistibile al contempo, è esistita ci può spingere a cercarla ancora. Quella curiosità portata alle estreme conseguenze che creava grandezza – anche orrori, come la tratta degli schiavi – e che oggi pare così distante perché, tanto, è già stato scoperto tutto.
Mentre si legge di popolazioni pacifiche che diventano aggressive perché sentono una parola spagnola e il trauma collettivo porta ad attaccare Drake e il suo equipaggio; o delle imboscate ai porti pieni di argento e oro pronti a partire per la madrepatria; o, ancora, dei giorni di bonaccia in mezzo a un immenso deserto d’acqua: mentre si legge tutto questo, credo che qualcosa di molto umano emerga nel lettore, che per un attimo ritorna a stupirsi quasi a dire «facciamo che io ero Francis Drake».
Decine di migliaia di chilometri in oceani remoti, con il rischio costante di essere annientati dai vascelli spagnoli
Non mi si fraintenda banalizzando il lavoro di Salomoni: l’autore non scrive un romanzo d’avventura. Ogni sua affermazione è documentata e supportata dalle fonti, dal contesto storico e da una forte cultura personale con la quale ci porta spesso ad affrontare argomenti tangenziali ma importanti per capire il quadro complessivo. Chi apprezza, come chi scrive qui, i primi anni dell’Età moderna, quell’allargarsi sconclusionato del mondo e la sua conseguente confusione, non potrà che vedere in questo saggio una tappa obbligata.
Come nel motto messo in esergo, si viaggia in un’epoca in cui il mondo non bastava – perciò lo si allargava, si trovava nuovo spazio. Spazio vivo, abitato, che allo sguardo ombelicale europeo sembrava a disposizione e dove, per nostra fortuna, Francis Drake non sembra essersi macchiato di colpe coloniali (nel viaggio di cui il saggio racconta, almeno). Ha scoperto un pezzo di mondo, però, percorrendolo, come un vero bandito, un uomo che è riuscito a sfidare addirittura l’impero più potente del tempo: quello degli oceani.
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