Prima che mi sfugga di Anne Pauly

Anne ha solo una cosa in mente: memorizzare. Non deve lasciare al tempo la possibilità di diluire i suoi ricordi, inquinare l’unica cosa che rimane, il passato. Il cervello umano si sa spesso gioca brutti scherzi; scambiando e sovrapponendo, rivoltando e annegando, costruendo e mentendo, ci sputa nel presente una sceneggiatura abbozzata e molto rimaneggiata del nostro passato. È come se le nostre percezioni avessero una data di scadenza, come la carta degli scontrini che dopo un po’ diventa pallida e silenziosa.

Per questo Anne non si dà neanche il tempo di versare lacrime, di capire come muoversi in questo nuovo mondo dopo che il papà ci lascia. Il padre, questa figura così inafferrabile, così sovraesposta a tutti i luoghi comuni, così raccontata ma che comunque è sempre un fulcro di dolore e riparo.

Abbiamo sotto gli occhi una cronaca, la cronaca di un lutto, una guida a come sotterrare un genitore senza sotterrare sé stessi. Non manca mai quella folle ironia e comicità che riesce ad accompagnare anche i momenti più brutti, quella capacità tutta umana di sorridere nonostante tutto.

Anne ha la necessità di fissare sulla pagina chi suo padre è stato, dal suo primo ricordo, a quando una sconosciuta gli ha fornito una chiave di interpretazione che mai si sarebbe potuta immaginare. Anne ha bisogno di elaborare un lutto attraverso la vita, e noi siamo testimoni di questo piccolo miracolo.