Il racconto delle stagioni è per Vanoli il racconto “delle nostre radici più profonde”, quelle che ci avvicinano al ritmo della natura e nello stesso tempo il racconto del cambiamento che l’uomo stesso, secolo dopo secolo, ha messo in atto, a volte incrinando il precario equilibrio del mondo che ci ospita.
Ricordi d’infanzia, memorie di una vita si mescolano abilmente alla Storia dell’uomo anche in questa seconda stagione, la Primavera (Il Mulino), che non si stanca di stupirci ogni volta. Abbracciamo il suo arrivo con tutti i nostri sensi, come se andassimo incontro al risveglio della natura e della vita per la prima volta.
In bilico tra il gelo dell’inverno e il caldo dell’estate, periodo di profumi, di piogge e di vento, di sconforto e di speranza, la primavera è per sua natura inquieta. La primavera racconta una sorta di struggente nostalgia, di quando, alle origini, noi e il mondo eravamo una cosa sola, legati dallo stesso ritmo e dallo stesso ordine delle cose.
Questo momento del tempo, “dai confini mai veramente chiari”, che più di ogni altro periodo dell’anno porta con sé inquietudini, ci mette in bilico tra il desiderio di una Rinascita e una sottile nostalgia.
Vanoli ci racconta della Primavera delle origini, al principio del mondo, quella a lungo attesa dai primi uomini “che non conoscono ancora il nome delle stagioni” ma sanno cogliere, dalla voce del vento e degli alberi, il momento per mettersi in cammino dapprima per cogliere frutta e radici per il sostentamento e per cacciare animali, poi, con il passare dei secoli, per unirsi in cammino con le greggi per la transumanza.
Nelle feste e nei riti propiziatori dei Greci antichi si coglie tutta la cura, la devozione che questa stagione richiedeva; nei miti di Demetra e Persefone cogliamo quell’attesa di promessa del raccolto e di rinascita, di luce e di vita, celebrata nei versi dei poeti che l’associano per primi al risveglio dei sensi e all’amore. Sentimento e passione che ritroviamo nella poesia dell’India, come se questa stagione ci facesse scoprire “quel fondo comune a cui apparteniamo”.
Nell’antica Roma “Flora era la Primavera, ed era una dea”. Mito e realtà si unificavano in questa stagione che prendeva possesso degli orti-giardini cittadini che si arricchivano di piante e fiori sempre nuovi. Ai giardini e alle sue trasformazioni nel corso dei secoli Vanoli dedicherà intense pagine in questo delizioso saggio, portandoci ad immaginare la ricchezza dei giardini islamici in Spagna, vere e proprie immagini del paradiso, “colmi della bellezza dei fiori e del canto degli insetti”.
Ci trasporterà negli orti medievali dei monasteri, garanti, insieme agli erbari, della sopravvivenza dei monaci, e in quei giardini “fatti solo per il piacere, l’amore e l’avventura” di nobildonne e cavalieri.
Ma la Primavera sarà anche il tempo delle promesse che riporteranno in mare gli uomini per lunghi viaggi e quello che farà riprendere i combattimenti e le guerre sospese nell’inverno. Sarà il tempo che darà i suoi colori, nel Medioevo, a stoffe e sete preziose nella stagione che sarà anche quella dei mercanti, e quello che metterà in marcia i pellegrini lungo le rotte del cristianesimo.
Vanoli ci mostra i volti della Primavera lungo il percorso dell’arte, dai calendari dei miniaturisti alla rappresentazione più celebre di Botticelli. Si sofferma sulle prime nature morte, che rispecchiano un nuovo modo di porsi di fronte e analizzare la natura ritraendo, come Jan Brueghel il Vecchio, fiori rari a grandezza naturale. Ci mostra il passato nostalgico dove i Preraffaelliti la idealizzano, o dove viene colta da Monet, in tutte le sue sfumature e variazioni di colori, in tutta la sua mobilità.
Il suono della Primavera, Vanoli lo ricerca invece nelle composizioni dei grandi musicisti, da Vivaldi ad Handel. Da Haydn e Beethoven, che mettono al centro la natura, a Stravinskij che sembra cogliere il senso più misterioso della stagione.
Questo piacevole excursus temporale sulle orme di una stagione, ci fa attraversare il tempo del suo “addomesticamento” dovuto al progresso della scienza, alle nuove scoperte, al bisogno di conoscere e di catalogare. Da questo allontanamento Vanoli fa affiorare la “nostalgia” per quel periodo ormai perduto di felice convivenza con la natura. Nostalgia che sottende anche il nostro tempo, fatto di una faticosa ricerca e riscoperta di una primavera originaria, che ci rimetta ogni volta in cammino guardando dentro noi stessi perchè “così magari la lezione della Primavera non andrà perduta (…) ma ci aiuterà a ritrovare qualcosa di prezioso, un’idea, una possibilità, una parte di noi che credevamo forse ormai persa”.
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