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Quando papà dava i numeri di Louise Meriwether

La verità era che non avevamo i soldi per niente

Francie ha dodici anni, due gambe lunghe e una famiglia povera.

A dirla tutta, poverissima.

Ce la racconta lei stessa, questa vita di avanzi nella Harlem degli anni Trenta in cui ogni giorno è una giocata persa, come quelle che il quartiere intero affida a suo padre, addetto alla raccolta dei numeri della lotteria in un vano tentativo di mantenere la famiglia.

Quando papà dava i numeri
Quando papà dava i numeri Di Louise Meriwether;

La scuola sta per finire, ma non sarà un'estate facile per la dodicenne Francie. Suo padre è disoccupato e per sbarcare il lunario raccoglie le giocate dei «numeri», la grande lotteria clandestina le cui estrazioni quotidiane sembrano scandire la vita degli abitanti di Harlem.

Niente potrebbe andar peggio nella vita di Francie. La ragazzina passa le giornate trascinandosi da una strada all’altra, sognando le girelle del fornaio – sarebbero sue, se solo si facesse dare una palpatina – e passeggiando con Sukie, al contempo migliore amica e nemesi: più bella, più sfacciata, sempre pronta a prenderti a pugni per dimenticare un padre alcolizzato e una sorella prostituta. Per mettere a tacere la sua pena – perché a Harlem tutti ne hanno una fatta su misura, e a cucirgliela addosso è stata la miseria.

Francie vive in uno dei tanti palazzi che cascano a pezzi, edifici così vicini che basta saltare da un tetto all’altro per andare a far visita a qualcuno. E se ti dice male, ci trovi il pederasta di turno, lassù, pronto a corromperti con un decino per infilarti le mani nelle mutande.

Ad attenderla a casa, una madre sfiancata dalla fatica, due fratelli avviati alla malavita e il padre – amatissimo, idolatrato – che, tra vincite effimere e indigenza costante, resiste con pervicacia ai favori dei bianchi e ai sussidi statali, col cibo in scatola scadente e le visite degli assistenti sociali. Tutto ciò per onestà e dignità, in nome – a suo dire – della leggendaria bisnonna, schiava aristocratica di un tempo lontano.

È quello che ci diceva mia madre giù a Bip: ‘Non prendete niente da quei musi pallidi, perché non siete degli straccioni senza niente di cui andare fieri. Siete i figli di Yoruba’

È con questi valori che Adam cresce i propri figli, tra esibizioni al pianoforte per la gente ricca – dovrà pur arrotondare – e concerti privati a casa; quel pianoforte intorno al quale, in rari momenti idillici, la famiglia si riunisce cantando e dimenticando per qualche ora lo squallore di una vita marcia e una casa arredata con mobili di seconda mano, rifugio di affanni e amarezza.

Tra un numero vincente e una scazzottata, Francie si guarda crescere, incamminandosi verso un’adolescenza sbiadita e prendendo coscienza di cosa voglia dire essere una persona di colore in un Paese che sembra essersi dimenticato della sua gente, che porta avanti una guerra collettiva contro una società infame.

Sui giornaloni non c’erano molte notizie sui neri e in genere le poche che c’erano erano brutte. E l’Amsterdam News, il giornale per la gente di colore, raccontava soprattutto dei linciaggi giù al Sud e dei negri che si uccidevano tra di loro su al Nord. Era abbastanza deprimente

A Harlem, questo mondo a sé in cui la pedofilia è all’ordine del giorno e le gang di quartiere sono la nuova autorità, seguiamo le speranze una ragazzina che non ha mai conosciuto di meglio nella vita, una dodicenne che, per sfuggire alla malinconia e alle cimici annidate nel divano, sogna di fuggire a cavallo con il suo attore preferito.

Eppure eccola qui: ingenua e tenace, Francie ci racconta il disincanto della fanciullezza e il degrado di una comunità con comicità, pronta a condividere i suoi fardelli come fossero piume, con tono colloquiale e senza pudore.

Esordio letterario apparso nel 1970, tradotto per SUR da Silvia Manzio, Quando papà dava i numeri è un romanzo di formazione ricco di elementi autobiografici legati all’infanzia di Meriwether, cresciuta a Harlem negli anni della Depressione e da anni attivista per i diritti civili delle persone di colore.

L’autrice raccoglie il passato e ce lo affida con giocosità; ci consegna la testimonianza di un popolo fiero e indomito, la sua storia, raccontata con gli occhi innocenti e sognanti di una ragazzina perché tutti sappiano; perché qualcosa cambi.

E perché nessuno dimentichi mai le proprie origini. Nel bene e nel male.

 

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