scienza senza maiuscola

C'è chimica in casa di Ruggero Rollini

 

Chissà se il successo della ammiccante canzone presentata quest’anno a Sanremo da Ditonellapiaga e Rettore, con il tambureggiante ritornello “Chi-chi-chi-chi-chi-chi chimica chimica”, finirà per migliorare un po’ l’immagine di cui la chimica gode (o meglio, soffre) presso il pubblico. Secondo un’ampia indagine condotta su migliaia di cittadini europei (italiani compresi) pubblicata tre anni fa sulla rivista scientifica Nature Chemistry, addirittura due su cinque vorrebbero vivere “in un mondo senza chimica”: ammesso che un mondo siffatto sia possibile (spolier: non è possibile), è difficile credere che gli intervistati pensino alla stessa chimica che nella canzonetta sanremese è associata esplicitamente al sesso. O a quella, più poetica, cantata da Fabrizio De Andrè nell’adattamento dell’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters: “Da chimico un giorno avevo il potere, di sposar gli elementi e farli reagire”.
Nell’immaginario collettivo, la chimica è spesso associata a cose sporche, o pericolose, ma secondo gli autori di quella ricerca diffidenza e timori nascono soprattutto dalla scarsa conoscenza di un mondo che è certo fatto anche di sostanze inquinanti, tossiche e pericolose, ma è appunto un mondo intero, e comprende anche l'aria di alta montagna che respiriamo, l'acqua di sorgente che beviamo, tutto ciò che vediamo, tocchiamo e odoriamo, in città come sul più sperduto atollo incontaminato. Un mondo che gli esperti descrivono con nomi altisonanti e complicati, che spesso bastano da soli a suscitare inquietudine, e a incoraggiare la contrapposizione tra “chimico” e “naturale”. Un esempio?
Il monossido di diidrogeno è incolore, inodore e insapore, e uccide, spesso per eccessiva inalazione ambientale, svariate migliaia di persone ogni anno. Qualche anno fa una petizione che chiedeva l’eliminazione del monossido di diidrogeno aveva raccolto moltissime firme, prima che emergesse con chiarezza che si trattava di uno scherzo, un pesce d’aprile: ovviamente chiunque conosca un po’ la nomenclatura chimica aveva subito tradotto quel nome in “acqua”, ma altrettanto ovviamente moltissimi non erano stati in grado di farlo, e avevano agito d’impulso per proteggersi da quello che veniva presentato come un pericolo, vittime della cosiddetta chemofobia. Oggi sono in atto molte dinamiche di questo tipo, in parte sincere e spontanee e in parte incoraggiate dal marketing dei prodotti autoproclamati “naturali”, che sulla chemofobia prosperano.
Gli autori della ricerca sanno bene che chi pensa che per scardinare certi meccanismi e certe reazioni in gran parte (ma non del tutto, e non sempre) irrazionali basti “insegnare la chimica” si illude, e come loro lo sa il giovane divulgatore Ruggero Rollini, che nel suo libro C'è chimica in casa. La scienza quotidiana che ti migliora la vita (Mondadori 2022, 180 pagine) usa quello che chiama “l’occhio da chimico” per raccontare come un chimico vede il mondo “aggiungendo un livello di poesia”.

C'è chimica in casa. La scienza quotidiana che ti migliora la vita

Secondo un sondaggio condotto in otto Paesi europei, Italia compresa, il 39% delle persone vorrebbe vivere in un mondo senza sostanze chimiche. «Chimica», in effetti, è una brutta parola. Eppure, l'aria che respiriamo, l'acqua che beviamo, tutto ciò che vediamo, tocchiamo, odoriamo è fatto di chimica. Persino noi. Dunque che fare di fronte a questa paura irrazionale? Ruggero Rollini ha provato a disinnescarla nel modo più semplice, ovvero mostrando al lettore che i fenomeni che ci circondano sono un universo tutt'altro che ostile, animato dalle stesse leggi che fondano la natura. Supportato dalle ricerche sul campo, passa in rassegna le applicazioni più comuni della chimica nella quotidianità, dalla gestione del calcare ai digestivi fai-da-te, dall'immeritata sfiducia nell'acqua del rubinetto alla celebrazione acritica delle borracce, dal funzionamento di saponi e detersivi al potere disinfettante del cloro, fino alla saliva umana - agente pulente da premio IG Nobel - e all'invenzione casuale e rivoluzionaria del post-it. Così, mettendo in connessione ricercatori universitari e tecnici industriali con l'antica sapienza babilonese, senza tuttavia rinunciare all'ironia e al paradosso, Rollini ci svela come alcuni «rimedi della nonna» funzionino, mentre altri non trovino riscontro. Il tutto con un duplice obiettivo: da un lato accompagnarci nei segreti della materia per renderceli familiari, consegnandoci gli strumenti per riconoscere alleati là dove vedevamo solo nemici, dall'altro aiutarci a smitizzare il patrimonio di antiche credenze, nelle quali troppo spesso amiamo rifugiarci per paura dell'ignoto. Questa documentata e brillante esplorazione ci consegna uno sguardo nuovo sulla realtà che ci circonda. Perché l'approccio scientifico non toglie la poesia nascosta nelle cose, anzi, «riflettere sulle microscopiche interazioni che si nascondono nelle onde del mare, nelle vette delle montagne, in una foglia al sole, nel nostro respiro» ha un fascino sorprendente. Riuscire a trasmetterne anche una minima parte è l'ambiziosa sfida lanciata da queste pagine.

Lungi dal disprezzare i cosiddetti “rimedi della nonna”, il libro li esamina in dettaglio, in stile scanzonato e colloquiale e con spirito critico, per mostrarne pregi, limiti e difetti, e gli eventuali tentativi di ingannare: “Ogni volta che si mischiano aceto e bicarbonato per pulire la casa, un chimico nel mondo muore” scrive nel capitolo Tutta schiuma e niente arrosto. “Se è vero che la combinazione di aceto e bicarbonato non ha alcuna azione pulente o disgorgante, perché è così diffusa? Perché non funziona? E perché, però, sembra funzionare?”. La nota in apice che spinge il lettore più curioso a cercare in fondo al volume il riferimento bibliografico sulla mortalità associata alle false credenze riassume un po’ il tono generale dell’opera, scherzoso, ammiccante e autoironico: “Non ci sono fonti su questa affermazione, ma fidatevi” scrive infatti, strappando un sorriso autocompiaciuto nel lettore che più che dell’autore si è fidato del proprio senso critico, che l’autore si diverte in più occasioni a stuzzicare.

“Era da tempo che non mi appassionavo così tanto a qualcosa. Per mesi mi sono guardato intorno cercando di vedere la chimica dietro a ogni oggetto. Ho teso l’orecchio verso ogni preoccupazione e curiosità, e tutte le volte che Google mi proponeva articoli con soluzioni green e rimedi della nonna gongolavo” si legge nelle pagine conclusive. “Qualche volta mi è capitato di dover fare una cosa difficilissima: cambiare idea. Iniziavo la ricerca su un tema con un’opinione piuttosto chiara, ma scavando scoprivo che non stava in piedi. Non è stato facile pensare che una cosa funzionasse in un modo e dover poi, davanti alle prove, abbandonare la convinzione”.


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