«Mamma?» «Sì.» «Perché bisogna sempre chiudere le porte?» «Perché non vogliamo che certe cose escano.»
Un futuro distopico in un tempo e un luogo non specificati, una protagonista senza nome e senza volto che sente gli aghi puntare verso i propri organi interni, un invisibile interlocutore che sembra guidare le azioni della donna.
Tutto in Scatole Nere (Mondadori), il thriller psicologico e fantascientifico di Matteo Romiti edito da Mondadori, è una scatola nera. Leggi e senti che qualcosa non va, come un bambino che osserva costantemente l'angolo buio del corridoio, aspettandosi da un momento all'altro di vedere qualcuno strisciare fuori dall’oscurità.
Scatole Nere è un thriller psicologico, una storia di fantascienza distopica, un romanzo di scissione e ricomposizione inconsueto e inquietante. Il racconto di come quello che viviamo determina ciò che diventeremo, una polaroid in fase di sviluppo su dove potremmo fatalmente andare, ogni giorno di più.
Scatole nere è perturbante, una storia non aderente alla realtà, ma che le assomiglia terribilmente e, tra le righe, qualcosa stona e ci inquieta.
Il romanzo d’esordio di Romiti, psicologo e psicoterapeuta – non a caso –, è in questo senso disturbante, costruito attraverso una narrazione che procede a scatti e dai tratti molto cinematografici.
Il racconto ha una circolarità interna che aumenta ancora di più il senso di irrequietezza, come un eterno ritorno di qualcosa di non detto, qualcosa che vorremmo sapere, o forse no.
La disperazione e il caos che abitano la mente umana, privata della socialità e della libertà, emergono e vengono messe a nudo in questo mondo logorato da una misteriosa malattia mortale che si è allargata a macchia d'olio e ha stravolto la società: il luogo in cui si svolgono gli eventi (non sappiamo se si tratti di una città o di una nazione) è diviso in settori posti sotto embargo e controllati dalla polizia governativa. Non c’è scampo per i contagiati, che vengono rinchiusi in un reparto dell’ospedale con le finestre cementate. I protagonisti sono svuotati di tutto ciò che è bello e di tutto ciò che è sociale.
Non è una lettura confortante e leggera, è infatti inadatta a chi nei libri cerca sollievo.
Romiti indaga i lati più esasperati dell’umanità e non ci lascia molte speranze. Dopo l’ultima pagina, oltre al senso di impotenza e di inquietudine, ci resta solo una domanda:
Cosa si è disposti a fare per sopravvivere?
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