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Le lupe di Pompei di Elodie Harper

Nome: parte variabile del discorso con cui si designa una persona, un animale, un oggetto, un’idea, un sentimento, un’azione o un fatto.

Un nome, quando è proprio, identifica uno specifico elemento all’interno di una categoria. Ci sono poi, nella grammatica italiana, dei nomi portatori di più significati: i nomi polisemici. La parola polisemia deriva dal basso latino polysēmus, che deriva a sua volta dal greco polýsēmosche ha molti significati, composto di polýs, molto, e sêma, significato.

A Pompei in epoca romana la parola lupanar aveva due significati, ‘tana di lupi’ e ‘bordello’; allo stesso modo, lupa poteva significare sia ‘femmina di lupo’ sia ‘prostituta'

Le lupe di Pompei
Le lupe di Pompei Di Elodie Harper;

Primo di quella che sarà una trilogia, è la storia di Amara e delle altre ragazze di Felicio, il proprietario del lupanare a cui le donne sono state vendute. Il loro futuro è segnato, ma forse c'è ancora una speranza: lottare insieme per la propria libertà.

Lupa e lupanar.

Sono questi i nomi attorno ai quali Elodie Harper costruisce la storia delle Lupe di Pompei (Fazi): Amara, Didone, Vittoria, Berenice e Cressa. I loro nomi propri, oggi.

In passato ognuna di loro ne aveva un altro: un nome proprio che ormai appartiene a una storia dimenticata, una storia che alle lupe resta solo come ombra di quella loro carne magra.

Io sono un’altra: Amara non è neanche il mio vero nome, come Didone non è il tuo

Comprate da Felicio perché non avevano altro da vendere se non loro stesse, hanno perso l’identità, la dignità, la loro storia. Sono diventate serve di una dea che non gli apparteneva e a cui adesso affidano il proprio destino: Venere.

Ma si può servire una dea che non ci appartiene?

Una volta veneravo Pallade Atena, ma da quando mi hanno portata qui sono suddita di Venere. Non ho scelta. È la dea che il mio padrone serve

Venere, governatrice dell’amore, le osserva dall’alto mentre disperatamente cercano di ritrovare la propria libertà. Si muovono nel bordello di Felicio, nei corridoi affollati di notte e spogli di giorno, tra i duri letti di pietra contro i quali la loro schiena è costretta a battere ora dopo ora, tra le lampade a forma di cazzo che illuminano fiocamente le stanze.

E aspettano che inizi la loro terza vita, consapevoli dell’alternativa troppo vicina.

La presenza della donna più anziana, appesa alla vita per un soffio, è come l’ombra di un futuro che nessuna di loro ha voglia di affrontare

Ma ogni lupo ha bisogno di un branco.

Per quanto ognuna di loro sogni durante la notte il proprio nome del passato, quello che oggi indossano è legato a doppio filo con quello delle altre.

E così si sostengono, consapevoli di poter contare le une sulle altre. Si fanno forza a vicenda, piangendo, ridendo e scopando insieme. Lottano contro un destino che le ha ferite e che non promette futuro. Si difendono e condividono il proprio dolore, forse uno dei modi più intimi di starsi vicino.

Ma soprattutto non perdono la speranza, perché credono in loro stesse e nelle altre, nella strada, nella dea che le ha adottate, nella città di Pompei che in qualche modo le ha accolte e che magari, per una volta, riuscirà a far loro un regalo.

Elodie Harper traccia i confini di un mondo femminile dove chi una volta era ai margini adesso è protagonista. Primo di una trilogia, Le lupe di Pompei è un romanzo di sorellanza e di resistenza, brulicante di vita e di amore, capace di portare nel presente la storia di un mondo passato.

«E infatti sei viva», dice Vittoria, tendendo la mano a prendere la sua e a stringerla forte. […] Amara la guarda, il profilo stagliato contro il sole, la testa alta. Indomita, pensa, come dice il suo nome

Perché alla fine un nome, qualsiasi funzione abbia, ti entra nel sangue.

E una volta che diventa parte di te è destinato a rimanerti addosso per sempre, per quante vite tu viva, per quante volte tu lo rifiuti.

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