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Sing backwards and weep di Mark Lanegan

“Polizia.” All’inizio non avevo fatto caso al suo avvertimento, preso com’ero dalla puntura della routine mattutina, che a quel punto mi dava soltanto un sollievo sordo e doloroso.

Comincia così il memoir di Mark Lanegan che ho appena finito e che sto ancora sfogliando tra le mani, perché non ancora pronto ad abbandonarlo. Ho avuto bisogno di una manciata di minuti per uscirne del tutto, un po’ come quando subito fuori dal cinema hai quella sensazione di spaesamento dopo un film particolarmente intenso.

Era da un po’ che aspettavo di leggere questa autobiografia, da una parte per la famelica curiosità di conoscere un punto di vista interno alla scena musicale più segnante degli anni Novanta, dall’altra perché la mia ammirazione per Mark Lanegan ha avuto negli anni picchi di fanatismo rasenti l’idolatria. Non parlo del semplice ascolto di un album, della visione di un concerto o dell’appagante lettura di un’intervista o recensione. Intendo ferie prese per seguire intere tournée, ore di appostamenti, foto, autografi e tutta quella serie di ciechi comportamenti infantili al limite dello stalking e della sanità mentale. Cose che, per intenderci, posso condividere con certi fan di Springsteen, di Vasco… e sì, dei BTS!

Sing backwards and weep
Sing backwards and weep Di Mark Lanegan;

Siamo di nuovo sulla scena di Seattle, quella che ha cambiato il volto della musica. C'è un'altra storia da raccontare, fatta di musica dolente e splendente, fatta di derive dolorose e nitide affermazioni: è la storia di Mark Lanegan, voce e guida degli Screaming Trees, che ha segnato con i suoi toni cupi e graffianti il sound di un'epoca nella quale la città “supersonica” era il centro esatto del Rock 'n Roll.

Ecco, dunque, la mia posizione nei confronti di Sing Backwards and Weep.

Ciò che sto cercando di metabolizzare, prima che il turbinio di emozioni sopisca, sta nella questione che solleva quanto raccontato da Lanegan e che mette il lettore di fronte all’annosa differenza tra l’artista e l’uomo, tra l’arte e la via che ha portato a crearla, lasciandolo lì a chiedersi: come si può apprezzare la musica di qualcuno che nella vita reale biasimeresti?

Echi leggendari hanno sempre dipinto Lanegan come un’anima dannata e romantica, un sopravvissuto, una figura quasi mitologica che solca le vie secondarie e sporche della storia della musica. Beh, invece di alimentare questo mito, lui si spoglia di quell’aura affascinante e maledetta e scrive la propria storia con una franchezza disarmante e brutale.

Grazie a una capacità aneddotica naturale, ci parla della sua carriera, ma soprattutto della dipendenza che lo ha perseguitato, accompagnato e guidato dalla gioventù agli esordi con gli Screaming Trees, attraverso tutto il periodo grunge fino alla disintossicazione sovvenzionata da Courtney Love (sì, lei!).

Lanegan è stato un tossico, un ladro, uno spacciatore, un imbroglione per sua stessa ammissione. Una spirale verso il fondo inesorabile, determinata, raccontata senza autocommiserazione o ricerca di giustificazioni. Ha messo in pericolo gli amici, li ha sfruttati, ha finto di non sentire le loro richieste di aiuto… Le pagine (attesissime e di cui non anticipo nulla) sul rapporto con Kurt Cobain sono strazianti e spietate.

 

"Ancora una volta, sentii la stretta dolorosa del rimorso, consapevole della mia partecipazione attiva alla sua dipendenza quasi terminale… ero un parassita che si nutriva della miseria di un amico al quale aveva voluto bene, dispensatore delle sue dosi quotidiane di morte… invece di fargli da guida, sceglievo di approfittarne per continuare a bucarmi imperterrito. Quando mi saltarono in mente questi pensieri scomodi, fui nuovamente colpito da un lancinante senso di colpa e da un odio profondo verso me stesso."

 

E mentre trascrivo queste frasi, credo mi stia pian piano chiarendo le idee sul come, nonostante la pessima persona ho scoperto essere stata, Lanegan sia stato in grado di toccare sensibilmente delle corde che me lo fanno apprezzare, ancora una volta. È perché non ha nessun interesse a piacere (a me o a chicchessia). Perché, nonostante la dipendenza, ha sempre cercato di mantenere un’etica dell’arte. Per l’umiltà, la gratitudine e l’ammirazione con cui racconta degli incontri fatti negli anni con personaggi della storia del rock e del blues che lo hanno ispirato. Per la passione da ascoltatore, quando parla della loro musica, e l’assenza di qualsiasi forma di supponenza quando si tratta della propria. Per la spietata onestà, sia quando descrive senza scrupoli situazioni estreme, sia quando si trova a confrontarsi col proprio tormento, con la sofferenza autoinflitta e quella recata agli altri.

Perché con questo memoir, Mark Lanegan non vuole lasciarsi alle spalle il passato, ma affrontarlo, scuotere i suoi demoni per il collo guardandoli dritto in faccia. E lo fa attraverso una scrittura incredibilmente potente, ruvida e fluida al contempo. Proprio come la sua voce. Sembra di sentirla.

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