Il 27 dicembre del 1908, a Reggio Calabria, Nicola entra nel suo catafalco per prepararsi per la notte, dopo aver mangiato sotto l’occhio vigile della madre fino all’ultimo boccone del torrone di Bagnara che gli si appiccica ai denti. La stessa notte, a Messina, dall’altra parte dello Stretto, Barbara si decide a mettersi a letto – dopo aver visto, persa nei pensieri sul suo avvenire, l’Aida a teatro – ma, poco prima di chiudere gli occhi e immergersi nei sogni, la terra trema e il mondo cambia per sempre.
Trema la notte è la storia di due vite e di due città separate dallo stretto, ma unite da un terremoto devastante e da promesse disattese. È un racconto di rinascita, ma non di ricostruzione, perché tra le macerie di Messina non c’è spazio per aggiustare ciò che prima esisteva, c’è solo l’occasione di ergere nuove mura e di inventare nuove vite.
28 dicembre 1908: il piú devastante terremoto mai avvenuto in Europa rade al suolo Messina e Reggio Calabria. Nadia Terranova attinge alla storia dello Stretto, il luogo mitico della sua scrittura, per raccontarci di una ragazza e di un bambino cui una tragedia collettiva toglie tutto, eppure dona un'inattesa possibilità. Quella di erigere, sopra le macerie, un'esistenza magari sghemba, ma piú somigliante all'idea di amore che hanno sempre immaginato. Perché mentre distrugge l'apocalisse rivela, e ci mostra nudo, umanissimo, il nostro bisogno di vita che continua a pulsare, ostinatamente.
La città è cambiata, – ha detto. – Hanno fatto saltare tutto, – ho risposto, – chiese, cortili, collegi, l’Ospedale grande, la palazzata... – Quello che era ancora in piedi era più comodo spazzarlo via, – ha rilanciato lui, – l’ho letta sui giornali, questa smania di ricostruire, eppure mi chiedo: perché distruggere dove si poteva aggiustare?
Nicola e Barbara scoprono, tra sollievo e senso di colpa, il peso dell’essere vivi, capiscono cosa significa camminare tra le strade di Reggio e Messina con la morte addosso, con i vestiti rubati a chi non è stato altrettanto fortunato. Vagano alla ricerca di cibo, ma soprattutto di acqua: acqua che scarseggia, che divide lo Stretto, che scorre come lacrime e che ristagna nelle pozze. L’acqua unico rimedio alla sete e all’arsura che spingono a fare azioni sconsiderate da cui può nascere una nuova vita.
Acqua, pensò Nicola, significa molte cose: quella salata del mare che aveva seppellito il mondo, quella stagnante del bacile della cantina di piazza San Filippo utile per sopravvivere, quella simile a un abbaglio che spingeva la ragazza a infilarsi in una nave sconosciuta
Le sorti dei personaggi si intrecciano un po’ per caso e un po’ perché così era scritto che andassero le cose: le fila del racconto si annodano grazie ai tarocchi, letti da Madame, una magnetica donna francese, tacciata di stregoneria, ma che grazie al suo potere e al suo legame con l’occulto scova i vivi sotto le macerie e predice l’avvenire.
L’elemento magico, più esoterico che fiabesco, è perfettamente rappresentato dalla lingua di Terranova: evocativa e a tratti quasi lirica, che guida nella lettura e aiuta a calarsi in un’ambientazione di un secolo fa, in cui religione cartomanzia e superstizione convivevano senza scontri.
Messina e Reggio Calabria non si arrendono, Nicola e Barbara non perdono la speranza: nonostante la distruzione, la sofferenza e lo sconforto, resistono e combattono per una vita migliore, per lasciarsi alle spalle le macerie e i diavoli del loro passato.
L’ultimo romanzo di Terranova incide una ferita e descrive una realtà cruda e senza scrupoli, ma non dilania, né angoscia il lettore, perché in fin dei conti, arriva sempre il tempo per rinascere e ricostruire.
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