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Tutti vogliono qualcosa di Richard Linklater

Un gruppo di giovani vive le ultime giornate prima dell’inizio dell’università. Un nuovo arrivato cerca di farsi accettare dai ragazzi, dalle ragazze e dai compagni della squadra di baseball.

Il film è ambientato nel 1981 e ha come titolo un pezzo dei Van Halen – che fa parte della tonificante colonna sonora, insieme ai Queen, ai Dire Straits e ai Pink Floyd tra i vari – e rappresenta l’apice della poetica giovanilista del suo demiurgo, Richard Linklater, da sempre in primissima linea nella narrazione del passaggio verso le età successive della vita, in particolare nel compasso tra i 10 e i 30 anni, ma non solo.

Tutti vogliono qualcosa
Tutti vogliono qualcosa Di Richard Linklater

Nel 1981 Jake Bradford si trasferisce al college e prende possesso di un'abitazione insieme ai suoi compagni della squadra di baseball universitaria. Tra cameratismi e qualche conflitto interno al gruppo, tra notti folli alla perenne ricerca di conquiste femminili, Jack inizia un percorso di crescita che lo porterà anche a trovare l'amore.

Per dirle in breve, ad avviso di chi scrive Linklater è il più grande regista di sempre in questo specifico ambito. Basti pensare a “Slacker”, “La vita è un sogno” (non a caso considerato prodromico rispetto a “Tutti vogliono qualcosa”), il terzetto della coppia Ethan Hawke/Julie Delpy partito con “Prima dell’alba” e “Boyhood”, addirittura unico e monumentale nel suo pervicace mantenimento del progetto originario (ovvero seguire in tre diverse fasi la crescita/invecchiamento degli attori).

In questo – lo dico serenamente – capolavoro, l’autore di Houston sceglie una ridda di volti pochi noti, li pettina e veste con la moda dell’epoca, infarcisce il lungometraggio di canzoni perfette per il contesto e soprattutto racconta qualcosa che conosce benissimo: ciò che ha verosimilmente vissuto. Essendo infatti nato nel 1960, nel 1981 aveva ventuno anni. Non si limita, dunque, a mettere in scena una storia tra le tante (non a caso sia soggetto che sceneggiatura sono suoi…). Fruga nella sua mente, nel periodo dell’epopea della sua stessa esistenza, in quella florida porzione di Storia in cui gli U.S.A. si apprestavano – a un passo dal crollo dell’U.R.S.S. – a dominare ancora di più il mondo, che si appropinquavano alle Olimpiadi di Los Angeles ‘84, che apparecchiavano il pianeta Terra alla dottrina reaganiana e alla durissima legge di Wall Street (non a caso il mitico film omonimo di Oliver Stone uscirà nel 1987, esattamente l’anno in cui il vero lupo di Wall Street Jordan Belfort, poi immortalato dal Divin Scorsese, inizia a truffare arricchendosi).

Il film vola. E come sempre Linklater non calca mai la mano su aspetti meramente volgari. Come già in “Prima dell’alba” ci trascinava in un rapporto che non aveva come principale ossessione il sesso – risultando memorabile anche per quel motivo – altresì in “Tutti vogliono qualcosa” si rifiuta di cedere ai luoghi comuni, preferendo partecipare, compartecipare, incarnare idealmente i suoi eroi alla ricerca di ciò che potranno essere. E lo fa scolpendo amicizie virili, innamoramenti mozzafiato e tantissima allegria. Creando un inevitabile, eterno rimpianto per la gioventù.

In sostanza: questa perla è forse in primis maschile, quanto il seminale “American Graffiti”, l’aulico “Un mercoledì da leoni” e l’ottimo “Fandango”, ma se crediamo nel cinema, nella speranza e nella felicità, percepiremo il cuore spostarsi nel petto.

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